A Complete Unknown. Mangold e Chalamet raccontano il film sul giovane Bob Dylan

Al cinema in Italia arriva il film con Timothée Chalamet nei panni del leggendario cantautore americano. Un biopic tradizionale, godibile e con un ottimo lavoro sulla parte musicale

Grande festa nella Città Eterna per la prima italiana del film A Complete Unknown di James Mangold, il biopic del leggendario cantautore americano Bob Dylan con protagonisti Timothée Chalamet, Edward Norton e Monica Barbaro che arriva nelle nostre sale dal 23 gennaio con Searchlight Pictures. L’Auditorium Parco della Musica dedicato a Ennio Morricone ha ospitato la première del film, ultima tappa europea dopo Parigi e Londra.

Il giovane Bob Dylan e la New York del 1960 in “A Complete Unknown”

A Complete Unknown ci accompagna nella New York del 1961 sullo sfondo di una vibrante scena musicale e di tumultuosi sconvolgimenti culturali, in cui un enigmatico diciannovenne del Minnesota arriva con la sua chitarra e con un talento rivoluzionario, destinato a cambiare il corso della musica americana.

Durante l’ascesa verso la fama stringe rapporti profondi con le icone musicali del Greenwich Village, culminando in una performance innovativa e controversa che risuona in tutto il mondo. Il film racconta del giovane Bob Dylan che sta affermando se stesso e la sua identità sonora, ma cosa e quanto c’è di vero sul cantautore antidivo? Ha così dichiarato Mangold in conferenza stampa: “Penso che tutti trasformiamo un po’ le nostre vite, dimenticando le cose brutte che ci fanno soffrire, enfatizzando gesti che possono sembrare eroici e minimizzando i nostri fallimenti. Fa parte della natura umana ed è il nostro modo di sopravvivere per non lasciarci travolgere dalle pressioni esterne. Quindi, in quanto narratore di storie, riconosco che non esiste una verità assoluta”.

La ricostruzione dell’ascesa di Bob Dylan attraverso testimonianza contrastanti

Sempre il regista, concentrando il suo intervento sul lavoro di preparazione, ha aggiunto: “Per prepararci a questo film abbiamo tutti letto ogni articolo e ogni saggio che sono stati scritti su Bob Dylan. Abbiamo visto documentari, film e video. Ebbene, sono tutti in contraddizione fra loro. I documentari, se ci pensate, sono film di persone che sanno di essere davanti alla macchina da presa e che, anche quando stanno dietro, interpretano un ruolo. Le biografie sono testimonianze di persone che si mettono ciascuna al centro della storia che raccontano, omettendo i propri sbagli e sottolineando le conquiste. Ne consegue che la ricerca della verità non riguarda soltanto Bob Dylan ma tutti quanti, perché ciascuno di noi cerca sempre di aggiustare la propria storia, e quindi, invece di cercare la verità dei fatti,abbiamo tentato di trovare la sensazione e il tono della verità. Ciò che abbiamo fatto è stato ricreare cosa sarebbe accaduto se non ci fosse stata nessuna cinepresa a riprendere”.

Chalamet come Bob Dylan non convince del tutto

A vestire i panni del protagonista, vincitore del Nobel per la Letteratura nel 2016, è l’attore Timothée Chalamet, amatissimo soprattutto dal pubblico giovane e noto per performance come quelle in Dune e Wonka. La sua è qui una maschera che vocalmente è perfetta ma per il resto non tanto: è Timothée Chalamet che fa Bob Dylan, lo fa bene ma lui non sparisce. Sullo schermo ci sono entrambi, l’attore e il personaggio, e questo forse non è del tutto un bene anche se in USA la sua interpretazione è stata molto acclamata.

Riguardo a questo ruolo l’attore ha dichiarato: “Non saprei dire quale sia stata la sfida più grande. In definitiva i cinque anni e mezzo che abbiamo impiegato per portare a termine questo film ci hanno permesso di sentirci a nostro agio con questa storia e di avere fiducia nelle nostre capacità. La cosa che mi rende più fiero è il lavoro che ho fatto con il regista e con il resto del cast. Non mi viene in mente nessuna possibile variante di questo film: abbiamo tutti lavorato al 150% delle nostre possibilità e la nostra dedizione al progetto è stata assoluta. Ne vado davvero orgoglioso. Sapevamo tutti che avremmo avuto due mesi e mezzo/tre per essere Pete Seeger, Joan Baez, Bob Dylan e Johnny Cash, per poi tornare a essere noi stessi per il resto della vita”.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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