Perché il cinema italiano non è più protagonista agli Oscar. Ipotesi e proposte
L’Italia è stato il Paese che ha conquistato più statuette in America, nella sua storia. Eppure, da due anni il nostro cinema è totalmente ignorato, fino all’esclusione. Ecco perché e come fare per uscire dall’isolamento
Tempi duri per il cinema italiano. L’esclusione del film Vermiglio dalla corsa agli Oscar , annunciata il 23 gennaio 2025 pomeriggio, apre una seria riflessione sulle sorti della nostra capacità di attirare l’attenzione del pubblico internazionale, che sembra regolarmente snobbare le pellicole di un paese che detiene ancora il primato di Oscar per i film stranieri, con 4 statuette a Federico Fellini conquistati tra il 1957 ed il 1975 (La Strada, Le Notti di Cabiria , 8 e mezzo e Amarcord) e 2 a Vittorio De Sica (Ieri Oggi Domani e Il giardino dei Finzi Contini) , mentre negli Anni Novanta tre statuette (Nuovo Cinema Paradiso, Mediterraneo e La Vita è bella ) sono andate a Tornatore, Salvatores e Benigni, e infine nel 2014 Paolo Sorrentino ha vinto con La Grande Bellezza .
Il cinema italiano alla notte degli Oscar
Da allora solo delusioni: sui tanti film proposti solo due le candidature accettate nella short list per il miglior film straniero (È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino nel 2022 ed Io Capitano di Matteo Garrone nel 2025) ma nessun premio. Un’analisi più attenta risulta ancora più impietosa per il nostro paese: dal 1957 al 1982 i film candidati all’Oscar sono 13, i quali, sommati alle 7 vittorie, certificano un livello di qualità del cinema Made in Italy insuperabile, dato che solo 5 volte il film proposto dall’Italia non è stato accettato dall’ Academy of Motion Picture Arts and Sciences. E se si vuole affondare ancora di più il coltello nella piaga, è interessante sottolineare che tutti gli ultimi Oscar tricolori si riferivano al passato, e due (Tornatore e Sorrentino) alla grande stagione del cinema italiano del dopoguerra, mentre gli altri due erano ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale. Che oggi il nostro sguardo sia rivolto verso il passato, tradizionale confort zone del paese più anziano del mondo? Neanche questo è del tutto vero, perché un film come Io Capitano tratta di un tema estremamente attuale, e così altri film italiani che hanno richiamato l’attenzione del pubblico internazionale, come Disco Boy di Giacomo Abruzzese, premiato a Berlino, o Chiamami con il tuo nome di Luca Guadagnino.
Perché il cinema italiano non è internazionale
Proviamo a capire cosa manca ai nostri registi per non arrivare mai alle vette degli Oscar. Innanzitutto una certa ritrosia a trattare temi di attualità ma soprattutto la tendenza a semplificare le trame, spesso ridotte a narrazioni classiche, affidate ad una cultura visiva ancora novecentesca e televisiva nazionale, dalla quale i nostri non riescono ad uscire (con l’eccezione di Abruzzese, naturalizzato francese e di Pietro Marcello con Martin Eden) . Va senz’altro meglio con le coproduzioni: un brillante esempio è un piccolo gioiello come Le Deluge, mentre l’attenzione e la conoscenza del visivo del XXI secolo-per altro denso di citazioni artistiche-che caratterizza pellicole come The Substance , Emilia Perez o La Stanza accanto nei film tricolori dell’ultimo decennio è del tutto assente. Eppure, si tratta di capolavori firmati da registi europei (e non statunitensi) come i francesi Jacques Audiard e Coralie Fargeat, o spagnoli come Pedro Almodóvar…Cosa non va dunque? Cerchiamo di capire i nostri problemi, che si possono riassumere in un unico concetto: il provincialismo.
La paura del confronto con gli altri, un attaccamento morboso e del tutto anacronistrico al doppiaggio, pratica molto ridimensionata in tutto il mondo, che da noi sembra invincibile.
È vero che abbiamo i più bravi doppiatori al mondo, ma il mondo non utilizza quasi più i doppiatori. Questo ci porta a preoccuparci di compiacere in tutti i modi il nostro sistemino locale, con centinaia di prodotti finanziati dal Ministero della Cultura che spesso non raggiungono neppure le sale e qualche rara volta vengono osannati dalla stampa di settore come “capolavori”, salvo poi sbattere regolarmente il muso davanti agli esperti internazionali , come nel caso di Vermiglio, mentre si ignorano prodotti di registi esordienti come Patagonia di Simone Bozzelli, ricco di spunti interessanti e attuali.
Come tornare nelle sale del mondo
Esiste una ricetta per tornare nella serie A dello schermo? Certo che si, ed è anche relativamente facile. Innanzitutto, il MIC potrebbe promuovere una campagna per potenziare la visione di film in lingua originale con apposite giornate, magari a prezzo ridotto, in tutti i cinema nazionali. Poi dovrebbe fare pressione perché i grandi capolavori internazionali escano nelle sale italiane in tempi brevi, poco dopo i festival di Cannes e Venezia (due esempi per tutti: The Brutalist e Queer, presentati a Venezia a settembre 2024, usciranno in Italia tra febbraio e marzo 2025, cioè sei mesi dopo). Infine, finanziare meno film ma di maggiore qualità, come fa la Francia da tempo. Per concludere, sarebbe assai opportuno organizzare una o due volte l’anno una serie di incontri pubblici di confronto e dibattito tra registi italiani e internazionali. Difficile? Forse più a dirsi che a farsi. Gli ingredienti per vincere a livello globale sono sempre gli stessi, ed erano quelli di Fellini, Visconti, Pasolini, Antonioni, De Sica, Germi, Scola e tanti altri: preparazione, coraggio, passione e autenticità per costruire una visione consapevole e lungimirante. Una formula magica che ci ha permesso di essere campioni mondiali per venticinque anni di fila. Se torniamo ad applicarla con serietà e rigore possiamo di nuovo conquistare il red carpet di Hollywood.
Ludovico Pratesi
Libri consigliati:
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati