Il seme del fico sacro. L’Iran di oggi tra cronaca e metafora in un film al cinema
Mohammad Rasoulof è venuto in Italia per presentare il suo nuovo lungometraggio, una storia a metà tra tradizione e modernità, sul cambiamento del mondo e l’arretratezza di certi poteri forti. Il film in sala dal 20 febbraio 2025
Il regista iraniano Mohammad Rasoulof è a Roma per presentare il film Il seme del fico sacro, vincitore del Premio Speciale al Festival di Cannes 2024. Un film in cui c’è una straziante lotta di grande attualità politica e sociale, tra tradizione e modernità. Il seme del fico sacro, nelle sale italiane dal 20 Febbraio con Lucky Red e BIM Distribuzione, è ambientato a Teheran e segue la storia di una famiglia iraniana.
La trama del film “Il seme del fico sacro”
L’arco narrativo inizia con i festeggiamenti per la promozione di Iman a giudice istruttore del Tribunale della Guardia Rivoluzionaria, che coincidono con il nascere del movimento di protesta popolare a seguito della morte di una giovane donna. Iman è alle prese con il peso psicologico del suo nuovo ruolo mentre le sue figlie, Rezvan e Sana, sono scioccate e allo stesso tempo elettrizzate dagli eventi; le due dibattono con la madre Najmeh, che cerca di fare del suo meglio per tenere insieme la famiglia. Quando Iman scopre che la sua pistola d’ordinanza è sparita, sospetta delle tre donne. Spaventato dal rischio di rovinare la sua reputazione e di perdere il lavoro, diventa sempre più paranoico e inizia, in casa propria, un’indagine in cui vengono oltrepassati tutti confini.
Il cinema racconta quello che succede in Iran
“Gli ultimi quarantasei anni dell’Iran, dall’avvento della Repubblica Islamica, sono eventi difficili che non sono stati ancora raccontati”, commenta Rasoulof. “Per esempio, durante le prime decadi sono state giustiziate migliaia di persone e nessun regista iraniano è riuscito a farci un film. C’è un passato pieno di storie affascinanti che vanno raccontate e che è possibile raccontare. Circa cinque anni fa, quando non avevo il passaporto e non potevo lasciare il Paese, ho pensato di fare un film d’animazione, basato sugli archivi”. E aggiunge: “Oggi siamo in un mondo interconnesso. Varie generazioni di artisti iraniani sono in esilio, ma questo in realtà ci dà speranza: vuol dire che oggi è possibile raccontare storie e che abbiano a che fare con il vissuto quotidiano delle persone in Iran. Storie che abbiano una connessione globale grazie anche ai social”.
Rasoulof, dissidente e narratore dell’Iran
Mohammad Rasoulof conosce bene la prigione di Evin, nel cuore di Teheran, carcere che dal 1972 è utilizzato prevalentemente per la detenzione di oppositori politici, lo stesso luogo dove è stata trattenuta in isolamento la giornalista Cecilia Sala. “Posso ben immaginare che esperienza difficile possa essere stata per lei, anche in quanto persona europea”, commenta il regista. “Io ci sono cresciuto e in qualche modo ero preparato a combattere con certe difficoltà. Penso che un europeo sia generalmente meno preparato. Ho provato a riflettere tutto ciò che avviene in prigione nelle condizioni della famiglia del mio film. Ho portato la mia esperienza in questa storia, in particolare il modo in cui le persone vengono influenzate”.
“Il seme del fico sacro”, un film clandestino che vede tutto il cast sotto accusa
Il suo Il seme del fico sacro è un film girato clandestinamente e anche per questo motivo Rasoulof è dovuto andare via dal Paese e non può farvi ritorno, come molti componenti della troupe. “Tra gli attori, l’unica persona attualmente in Iran è l’attrice che interpreta la madre. Tutti gli altri hanno lasciato il Paese, clandestinamente o no”, racconta. “Molti membri della crew sono rimasti in Iran e c’è un processo giudiziario nei confronti di tutti. Siamo accusati di propaganda contro il regime, attentati alla sicurezza pubblica e diffusione di corruzione e prostituzione. Anche io sono giudicato in contumacia”.
Le tematiche del film “Il seme del fico sacro”
Un ruolo centrale nel film lo ha il rapporto padre / figlie. E le dinamiche in questo sono molte intense nella seconda parte del film, quella in cui dalla cronaca che meglio conosciamo si passa alla grande e travolgente metafora. “Le figlie capiscono che stanno subendo una bugia, per anni non sapevano quale fosse il ruolo paterno nel meccanismo di potere e oppressione dello Stato: quando la loro amica Sadaf viene ferita immaginano un ruolo più grande del padre in tutto ciò, e quindi il confronto con la realtà scatena una reazione, sicché disarmano il padre”, spiega Rasoulof. E sempre riguardo la parte finale del film dice: “Tornare alla casa paterna rappresenta il ritorno al passato, all’ombra del santuario, che indica come in Iran viviamo sempre all’ombra della religione. Nella scena in cui Sana, la figlia piccola, si trova in quel ripostiglio pieno di cassette musicali e altri oggetti, voglio indicare che la cultura iraniana è molto più ampia di quello che il potere vuole mostrare”.
Margherita Bordino
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