A Sanremo la moda si ribella in silenzio: l’edizione più democristiana degli ultimi anni

La moda sperimentale è stata spazzata via in favore dei completi giacca e pantaloni. Ma qualcuno si sta ribellando in silenzio a questo Sanremo democristiano

Se i democristiani non esistano più, non è dato saperlo nel 2025. L’ultima edizione del Festival di Sanremo conferma che quella tendenza a voler essere al centro, con un piede in due scarpe, è più attuale che mai. Non bisogna più tenere in considerazione la prima e la seconda Repubblica, ma il prima e il dopo Amadeus per comprendere se la DC sia tutt’oggi insita nella nel programma più visto d’Italia, quindi nella televisione di Stato. E Carlo Conti non ha lasciato spazio a molteplici letture dell’evento nazionalpopolare: con lui è tutto bianco o nero. Soprattutto bianco, poiché neutrale come ciò a cui la rete ambisce. Lui obbedisce, la kermesse si appiattisce e la moda, che nell’ultimo periodo era tornata sul serio, ne risente.

Il completo tradizionale come protagonista di Sanremo 2025

Infatti, l’indumento più ricorrente sul palco è stato il completo giacca e pantaloni. Elegante come una volta, classico in modo squisitamente italiano, tradizionale come piace a chi adesso è ai piani alti della Rai. Di abiti stantii, che lasciano tutto com’era una volta senza voler cambiare nulla, era pieno. Brunori Sas e Willie Peyote, per esempio, hanno rispettato il canone sanremese, ciò che ci aspetta da chi sale sul palco. E, d’altronde, canzone chiama vestito perché ciò che si indossa riflette ciò che si è e che si fa. Ma le battaglie si possono combattere anche in silenzio, scegliendo un accessorio piuttosto che un altro, svelando un look “segreto” sfilandosi a sorpresa un capospallo leopardato (vedi alla voce Achille Lauro durante la serata delle cover). 

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Sanremo, 75° Festival della Canzone Italiana 2025 – Quarta Serata. Nella foto: Achille Lauro

Achille Lauro, il rivoluzionario silenzioso 

Lui, tra tutti, è colui che meglio rappresenta la lotta contro il ritorno di un pensiero vagamente democristiano. Il primo giorno ha esordito con un frac, l’emblema dell’abbigliamento classico. Poi si è sbottonato, fino a ridurre i suoi abbinamenti ad una blusa nera fasciante con pantaloni attillati, nascosti con cura sotto ad una vestaglia-capospalla, emblema della chicness italiana firmata Dolce&Gabbana, il marchio che l’ha accompagnato in questo lotta disarmata. Lauro così ha dimostrato che c’è sempre un modo per esprimersi, basta saperlo fare con furbizia, trovando un equilibrio tra sé stessi e gli altri. 

Damiano David, rétro ma non troppo

Lo stesso ha fatto Damiano David, adesso concentrato sulla sua carriera da solista. Il frontman dei Måneskin si è esibito indossando due look creati a quattro mani con il direttore creativo di Valentino, Alessandro Michele. E anche lui si è ribellato alle nuove regole silenti del Festival di Conti, quello restaurato (male?) dopo Amadeus (che non era comunque un santo), sfoggiando un completo che più classico non si poteva, rigorosamente total black con colletto bianco in vista. Ha osato? Chiudendo la giacca con un fiocco e indossando guanti in pizzo con grande anello in vista, mentre le spalline erano rinforzate come quarant’anni fa e il resto richiamava decadi ormai passate. In poche parole, rétro, ma con coraggio nei dettagli.

foto andrea lanno courtesy of roberto cavalli A Sanremo la moda si ribella in silenzio: l’edizione più democristiana degli ultimi anni
Bianca Balti, Foto: Andrea Lanno. Courtesy of Roberto Cavalli

Mahmood, libero fin dove può 

Rétro alla parti delle regole dell’Ariston. Bisogna tenere ben a mente la caratura dell’evento, nonostante non sia formale quanto si voglia far crede. Il trash e il kitsch sono dietro l’angolo, e le grida del pubblico da siparietto anche, ma resta la kermesse più importante del piccolo schermo. Quella che dovrebbe riflettere l’immagine del Paese attraverso la musica, tra le forme d’arte più pop, perlomeno a Sanremo dove i ritornelli sono ciò che conta per sbancare. Quindi, il look rosso fuoco di Mahmood by Alainpaul, composto da pantaloni tempestati di Swarovski e una blusa più vedo che non vedo, al punto da sfilarsi dopo aver allungato la sua silhouette, non è consentito. Non per più di cinque minuti di esibizione. Poi, infatti, si è dovuto coprire con una giacca oversize: è tornata quella imprescindibile dose di moda tradizionale per coprire il petto nudo quanto scolpito del cantante. Era troppo per un evento che si vorrebbe fosse impostato, anzi ingessato, ma che non riesce ad esserlo fino in fondo. Perché non può esserlo e i giovani cantanti di oggi non lo sono. 

Le collane proibite a Sanremo 2025

Ciononostante, si continua a vietare. Non si sa cosa, ma di certo collane, come quella di Tiffany & Co. di Tony Effe. Il rapper, poco prima di salire sul palco, ha dovuto togliersi il suo gioiello principale a causa dell’inconveniente della pubblicità occulta dell’anno scorso. Perché? L’accessorio prezioso si temeva fosse troppo riconoscibile e, quindi, palesemente del brand.

La moda femminile a Sanremo 2025: due pesi, due misure

Ancora, l’edizione 2025 di Sanremo non poteva non rispecchiare ciò che sfortunatamente succede nella società contemporanea. Ossia i due pesi e le due misure nei confronti di uomini e donne. Queste ultime rispetto ai primi sembra che vivano più liberamente – in termini di stile -, ma è tutta un’illusione. Vengono relegate al ruolo di “belle, bellissime, stupende, meravigliose”. Sono gli aggettivi ripetuti a iosa per introdurre e descrivere le donne di questo Festival, vestito di tutti punto e nei modi più vari: dall’abito scultoreo di Clara confezionato da Giuseppe di Morabito a quello glamour di Roberto Cavalli per Bianca Balti, senza dimenticare lo stile Old Hollywood di Elodie in Gucci. Loro possono sempre indossare tutto, e menomale. Ma bisognerebbe capire perché ciò avvenga. Forse perché ai cantanti non viene richiesto lo stesso rispetto alle cantanti? E quali sono i motivi se non una percezione alterata della moda e, ancora di più, della donna in quanto performer che necessariamente deve usare il suo corpo?

Giulio Solfrizzi 

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Giulio Solfrizzi

Giulio Solfrizzi

Barese trapiantato a Milano, da sempre ammaliato dall’arte del vestire e del sapersi vestire. Successivamente appassionato di arte a tutto tondo, perseguendo il motto “l’arte per l’arte”. Studente, giornalista di moda e costume, ma anche esperto di comunicazione in crescita.

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