Il ritorno di Black Mirror: la serie Netflix alla settima stagione è ancora un potente monito
È uscita la nuova stagione della serie (iniziata quasi 15 anni fa) che racconta storie ambientate nel futuro, e che riesce ancora a far riflettere sul presente. Senza però quell'inquietudine che l'ha resa famosa

Dal suo debutto sul piccolo schermo nel lontano 2011, la serie tv Black Mirror torna periodicamente a fare da monito sulle conseguenze etiche del mondo – sempre più connesso – in cui viviamo. Ideata dallo sceneggiatore e produttore britannico Charlie Brooker, Black Mirror ha come fulcro la tecnologia e le sue evoluzioni più oscure, lette attraverso delle narrazioni che mettono al centro le vicende umane. La settima stagione è da poco disponibile su Netflix – che ne ha acquistato i diritti dall’inglese Channel 4 a partire dalla terza stagione – e riesce nel mantenere un difficile equilibrio: quello tra una spinta narrativa fantascientifica e la familiarità dei temi trattati. Black Mirror, infatti, non si spinge mai, come altre antologie, nel lontano futuro: il suo tratto distintivo è l’essere spiccatamente contemporanea, con quel tanto di tecnologia in più per dare una spinta imprevedibile alla storia.
I grandi temi della settima stagione di “Black Mirror”
Cosa succederebbe se rendessimo la salute mentale di una persona una subscription? È questo il tema del primo episodio, intitolato Gente Comune (diretto da Ally Pankiw e scritto proprio da Charlie Brooker), che è indubbiamente il più inquietante e quello destinato, più degli altri, a lasciare il segno in chi lo guarda. Fulcri della puntata sono una pubblicità ancora più invasiva e una nuova gig economy fatta di ultra-violenza, che portano all’estremo l’ossessione della Silicon Valley per il modello di business “basato sugli abbonamenti”. In Hotel Reverie, invece, viene dato molto spazio al tema dei deep fake – la sostituzione in digitale del volto di una persona in una foto o un video – e dell’Intelligenza Artificiale, ma con un sottotesto tenero e non violento. In Eulogy si parla di mascolinità tossica e lutto, e qui la serie lascia spazio a una visione più ottimista della tecnologia protagonista, per poi arrivare a Come un Giocattolo (Plaything), il cui finale sfiora l’“edificante”. Dopo l’episodio interattivo Bandersnatch, infatti, la serie torna a parlare del mondo dei videogiochi, ma anche a ispirarli: il gioco al centro della puntata, chiamato Thronglets, non solo è uscito davvero per Netflix Games (fatto da Night School studios, gli autori di Oxenfree) ma è radicato nell’esperienza di vita dello stesso autore, che ha fatto il giornalista videoludico negli Anni Novanta.
La comparsa dei sequel nella serie “Black Mirror”
Black Mirror ha sempre giocato con le auto-citazioni, facendo apparire alcuni episodi come collegati, ma solo di sfuggita, per esempio chiamando diverse sue ambientazioni (come ospedali o ristoranti) “Juniper” in omaggio all’episodio più famoso della serie, San Junipero. Nella settima stagione, però, cambia rotta: Plaything è ambientato nella stessa linea temporale di Bandersnatch e vede il ritorno di uno dei personaggi chiave (lo sviluppatore visionario Colin Ritman interpretato da Will Poulter); mentre USS Callister: Infinity è una continuazione diretta del primo capitolo della quarta stagione (USS Callister), di cui approfondisce due temi fondamentali: la personalità digitale e la tossicità nei videogiochi. Cosa succederà quando le IA che popoleranno i mondi virtuali avranno una coscienza paragonabile a quella umana? Gli abusi nei loro confronti che valore avranno di fronte alla legge? L’episodio, il più lungo della stagione, si pone queste e molte altre domande lasciando ampio spazio per uno humor che farà particolarmente piacere agli appassionati di videogiochi.
Cosa non convince di “Black Mirror”
La regia degli episodi è molto varia. Dal punto di vista cinematografico, gli episodi più rilevanti sono Eulogy e Hotel Reverie: il primo perché è “ambientato” per la maggior parte all’interno di alcune fotografie trasformate in ambienti in 3D grazie all’IA; il secondo per la cura maniacale messa dal regista Haolu Wang nel taglio e nelle inquadrature per replicare la grande cinematografia hollywoodiana degli Anni Quaranta. Hotel Reverie ha tutto il potenziale per essere il nuovo San Junipero, non solo per il finale dolceamaro, ma anche grazie alle forti presenze sceniche delle attrici Issa Rae (nel ruolo della protagonista Brandy Friday), Emma Corrin (nei panni dell’attrice ricreata con l’AI Dorothy Chambers) e Awkwafina, che interpreta l’imprenditrice tech Kimmy. L’episodio meno convincente della stagione, Bestia Nera, è anche quello tecnicamente meno impressionante, fatta eccezione per come riesce a rappresentare visivamente la confusione di chi è vittima di un gaslighter seriale. Gente Comune usa molto bene la luce per sottolineare i momenti in cui l’abbonamento “per stare bene” della protagonista è attivo e quando invece non può più permetterselo; infine Plaything adotta un’estetica deliziosamente retrò quando riavvolge agli Anni Novanta per raccontare la sua storia.
Perché vedere “Black Mirror”
Questa settima stagione è una delle meglio riuscite dell’era Netflix grazie a una qualità che resta alta di episodio in episodio e a una cura particolare nella regia e negli effetti speciali. Le tematiche fondanti restano inquietantemente rilevanti anche se un po’ più blande rispetto al passato. Non c’è un episodio, tranne forse Gente Comune, che lascia lo stesso amaro in bocca di grandi classici dell’antologia come 15 milioni di celebrità o Torna da me, ma la serie è sulla strada buona per ritrovare le proprie radici. E guardando alla società contemporanea, il materiale per le prossime stagioni non manca.
Riccardo Lichene
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