Fenomenologia Die Schachtel
Un'etichetta discografica, uno spazio per arte e performance (musicali), il tutto a Milano. Storia e futuro (incerto) di Die Schachtel e O'. Dalle parole dei fondatori.
Le parole invecchiano sempre più facilmente dei concetti che esprimono. Così “indipendente”, “avanguardia”, persino “cultura” oggi sembrano delle scatole vuote, mentre “condivisione” è la chiave per aprirle e dotarle di nuovo senso. Questa è la strada percorsa da Die Schachtel (“la scatola” in tedesco), etichetta discografica e casa editrice specializzata in musica elettronica e sound art, e O’, associazione no-profit votata all’arte contemporanea e allo stesso tempo spazio dedicato a concerti, performance, mostre e laboratori d’ascolto. Qui si sono esibiti, o hanno presentato il proprio lavoro, tra gli altri Tim Hecker, Rhys Chatham, Asmus Tietchens, Claudio Sinatti, Christina Kubisch, Robin Rimbaud/SCANNER, Brandon LaBelle, Christian Fennesz, Bruce McClure, Morgan Fisher, Limpe Fuchs, Oren Ambarchi, Charlemagne Palestine. Sono stati ospitati Ramuntcho Matta, Antonio O’Connell e Stefan Roigk, Ariel Schlesinger, Liz Glynn, Phill Niblock, Dana Levy e molti altri artisti da tutto il mondo per il progetto O’A.I.R. (Artist in Residence). Qui ha visto la luce “Prix Italia. Imagination at Play”, un cofanetto di sei cd e un volume con le opere radiofoniche che hanno partecipato al premio indetto dalla Rai nei primi anni Sessanta, a cui Artribune ha dedicato un approfondimento sul settimo numero. Siamo a Milano. Fabio Carboni e Sara Serighelli, protagonisti dei due progetti, ci hanno raccontato la loro storia.
Come nasce Die Schachtel?
Fabio Carboni: Nasce nel 2003 da un progetto mio e di Bruno Stucchi, che cura la parte grafica. Abbiamo iniziato recuperando autori e materiali poco noti del repertorio elettronico ed elettroacustico, in particolare italiano. Il primo è stato Pietro Grossi, pioniere della computer music, le cui pubblicazioni fino a qualche anno fa erano limitate a dischi di sonorizzazione incisi per film, serie televisive o stacchi radio. Così è nato Musicautomatica. Da lì ci si è svelato un panorama molto vasto di esperienze legate alla musica elettronica mai raccolte o documentate a causa della irreperibilità di informazioni su certi temi.
La vostra intraprendenza è stata premiata?
F.C.: Le nostre edizioni sono state subito ben recepite all’estero, ancora adesso molti pensano che Die Schachtel sia straniera. Purtroppo le esperienze italiane vengono marginalizzate in patria anche quando destano interesse all’estero.
La situazione sta cambiando?
F.C.: Da dieci anni a questa parte, una nuova generazione di musicologici si è fatta avanti e la pubblicistica è aumentata. Alcune operazioni di recupero di cui ci siamo fatti carico sono state coadiuvate da istituzioni, università, archivi. L’interesse è stato generato. L’ultimo esempio è Prix Italia, una coedizione con la Rai, grazie alla quale abbiamo avuto accesso a materiali dell’Archivio Rai, altrimenti preclusi.
Qual è, invece, la storia di O’?
Sara Serighelli: O’ è un’associazione non profit fondata nel 2001 da me e da Angelo Colombo. All’inizio il nome era O’Artoteca, con riferimento alle artothek, strutture del Nord Europa, enti misti che raccolgono opere di varia natura e le affittano a prezzi molto bassi. Angelo aveva l’opportunità di produrre a costo zero nel suo laboratorio di stampa fine art (L.A.B.) una serie di materiali e l’obiettivo era quello di inserire i lavori all’interno di collezioni, banche, spazi pubblici, scuole e università, nel rispetto dello spirito delle artoteche.
Purtroppo è stato difficile. In Italia è molto radicata l’idea di possedere un’opera, a differenza dei Paesi nordici, dove la condivisione di quello che è pubblico è naturale. Se prima il progetto era orientato unicamente alla fotografia, quando ci siamo imbattuti in questo spazio, che è diventato la nostra sede, si sono messe in moto energie diverse. La nostra programmazione si è orientata verso le arti visive. Nel 2006 è iniziata la collaborazione con Fabio e Bruno con una serie di appuntamenti legati al suono e alla musica, ed è nato anche il progetto O’A.I.R. (sospeso per tutto il 2011), residenze per artisti, teorici, critici, curatori, giornalisti, artisti visivi, musicisti, filmmaker con un occhio rivolto alle performing art.
Nelle vostre intenzioni c’è anche l’idea di educare il pubblico all’ascolto della musica?
F.C.: Quando il pubblico più sensibile assiste a un concerto in questo luogo, ha la sensazione di ascoltare musica per la prima volta. Oggi ci capita sempre più spesso di fruire della musica passivamente, nei bar, in ufficio, dalle casse del computer, ma avere la possibilità di… incontrarla e toccarla diventa rivelatorio.
S.S.: All’interno di un discorso didattico farei rientrare poi i laboratori d’ascolto curati insieme all’associazione Sincronie. Durante questi incontri Massimiliano Viel, direttore artistico del progetto, guida i partecipanti verso modalità insolite di ascolto “sovversivo”.
Fabio, quale artista sogni di pubblicare per Die Schachtel?
F.C.: Nei live a cavallo tra il suo periodo sperimentale e quello classico-contemporaneo, Franco Battiato si esibiva in lunghe improvvisazioni che, ascoltate oggi, sono un condensato del meglio che si possa ascoltare nell’ambito dell’avanguardia. Ecco… Mi piacerebbe recuperare le registrazioni e impostare un progetto legato a quel mondo.
Che cosa definireste oggi “avanguardia”?
F.C.: Quando non fai altro che reiterare dei moduli e usi una definizione per renderli riconoscibili, non stai facendo niente di avanguardistico. Secondo me oggi certe parole hanno esaurito la propria ragione d’essere. È un modo per intendersi, una convenzione. Da tanto non vedo cose veramente nuove, niente ci sconvolge più così facilmente.
S.S.: Forse la vera novità potrebbe essere un metodo di lavoro basato sulla condivisione, come avviene in Belgio o negli Stati Uniti. Per condivisione intendo consapevolezza sociale radicata nei problemi attuali e priva di nostalgia retorica. Occasioni di circuitazione e diffusione della cultura più orizzontali, un equilibro diverso tra pubblico e privato, facilità di accesso, maggior scambio di professionalità. In Italia non sono molte le istituzioni pubbliche forti, gli artisti italiani non vanno all’estero, pochissimi lavorano con gallerie straniere.
Come sono le vostre relazioni con il pubblico, con il Comune di Milano in particolare?
S.S.: Nel 2009 ci hanno affidato la sezione milanese di Gemine Muse al Castello Sforzesco. I nostri rapporti con il Comune si sono limitati a quell’esperienza. Il vero problema è che il Comune ha rapporti pregressi con certe realtà ed è difficile che si sposti da questa consuetudine. Apprezziamo che l’assessore Boeri sia aperto, propositivo e disposto ad ascoltarci, ma finché i progetti verranno gestiti, prodotti e curati dal Comune usando i suoi teorici, all’interno dei suoi spazi, con i suoi fondi e con un comitato scientifico autoreferenziale, non cambierà niente.
Qualche anticipazione sulle vostre attività future?
S.S.: Stiamo valutando con un’altra associazione milanese che si occupa di arte contemporanea la possibilità di integrare le programmazioni e condividere lo spazio. Creare una sorta di impresa culturale può essere una strategia interessante. Ma non possiamo ancora svelare i dettagli.
F.C.: I media rappresentano un segmento importante delle nostre attività. Abbiamo iniziato con mostre su libri d’artista, fotografie, tape, cartoline e manifesti e recentemente abbiamo aperto un bookshop. Non ci dispiacerebbe lanciare, in futuro, una fiera tematica in sede con opere site specific. Vedremo…
Silvia Moretti
www.dieschachtel.com
www.on-o.org
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