Wagner, una sinfonia scritta a 19 anni e un documentario
È possibile raccontare in immagini la storia di una sinfonia che Wagner scrisse 19enne, perse per anni e diresse infine a Venezia a cinquant’anni dalla sua prima esecuzione e a neanche due mesi dalla morte? Ma soprattutto, lo si può fare con i pochi mezzi consentiti dallo stato miserevole della nostra cultura?
Grazie a tre anni di ricerche d’archivio e a una volontà evidentemente ferrea, Gianni Capua è riuscito nell’impresa di raccontare per immagini la storia di una sinfonia di Wagner, e il risultato è il documentario Richard Wagner. Diario veneziano di una sinfonia ritrovata, prodotto da Kublai Film assieme al contributo della Regione Veneto e presentato al Cinema Rossini di Venezia in anteprima lunedì 15 aprile.
Al centro della vicenda, la Sinfonia in Do scritta da Wagner a 19 anni, persa da Felix Mendelssohn cui era stata consegnata, ritrovata nel 1877 in un vecchio baule a Dresda e infine suonata dall’orchestra degli allievi e dei maestri del conservatorio Benedetto Marcello di Venezia sotto la direzione dello stesso Richard Wagner la Vigilia di Natale del 1882, in occasione del compleanno della moglie Cosima e a poche settimane dalla morte del suo autore.
Questo racconto per immagini diventa così il mezzo non solo per celebrare il bicentenario dalla nascita del grande compositore tedesco ma anche la città che, grazie alla sua unicità e bellezza, è da sempre inesauribile fonte d’ispirazione per la creazione artistica e in cui, come in questo caso, si manifesterà il destino di Cosima e Richard Wagner, coppia mitologica della scena culturale europea e mondiale.
A parlare sono gli stessi protagonisti della vicenda attraverso le parole di Cosima riferite nei Diari ai giorni del loro soggiorno veneziano, quelle di Wagner tratte dalla Relazione di una sinfonia giovanile ritrovata scritta in forma di lettera il 31 dicembre 1882, e infine quelle del veneziano Giuseppe Norlenghi che, nel suo libro del 1884 Wagner a Venezia, ripercorse il soggiorno della coppia nella città lagunare.
Parole che si fanno immagini grazie ai negativi in bianco e nero della città ritratta dal fotografo Carlo Naya, contemporaneo del compositore tedesco, cui si sovrappongono le riprese a colori di una Venezia contemporanea eppure sospesa nel tempo svelata nel lento percorso di una barca lungo il Canal Grande o nei saloni silenziosi di edifici storici come Palazzo Malipiero, che furono lo scenario delle vicende citate nel racconto e qui diventano il palcoscenico per la messa in scena della Sinfonia in Do. È il musicista Igor Cognolato a proporcela al piano, rivelando attraverso alcuni dettagli come contenesse già in sé elementi che confluiranno poi nel Tristan, nel Götterdämmerung” e nel Parsifal, mentre Cosima Wagner, ascoltandone commossa per la prima volta l’esecuzione, annota sul suo diario che “solo qualcuno che non conosceva il sentimento della paura poteva aver scritto questa musica”.
E forse, nel restituirci lo stesso sguardo, le stesse parole e le stesse emozioni della celebre coppia nei suoi ultimi giorni insieme, l’intenzione del regista è fare della storia della Sonata in Do, così ricca di rimandi e coincidenze e al tempo stesso foriera del destino ultimo per il suo autore, una parabola sul legame imprescindibile tra passato e presente, legame di cui Venezia, città millenaria d’arte e d’acqua, è incarnazione somma.
Ne esce fuori una storia d’amore che non è solo quella tra Cosima e Richard Wagner e tra quest’ultimo e Venezia, ma anche la storia di come la bellezza e la potenza ispiratrice di una città segnino il destino di un uomo.
Martina Tarozzi
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