A tu per tu con i Baustelle. È la band più artistica d’Italia?
Raggiunto poco dopo l'ultimo concerto del tour Fantasma nel magnifico Teatro Regio di Parma, abbiamo parlato con Francesco Bianconi, leader e penna della band toscana Baustelle. Per intenderci, quelli di Charlie fa surf, brano celeberrimo ispirato a un’opera di Cattelan. O quelli che di Manzoni preferiscono “quello vero, Piero”.
Con l’ultimo lavoro – una sorta di concept album sull’esistenza, sulla morte, sulla vita, ma soprattutto sullo scorrere del tempo – si sta facendo conoscere al grande pubblico come l’anima di uno fra i gruppi migliori della musica cantautorale italiana. Parliamo di Francesco Bianconi (1973) e dei Baustelle.
Fantasma, uscito a gennaio, ha incantato pubblico e critica con una tematica non facile da sostenere, il cui filo conduttore è il tempo, ma anche la vita con tutte le sue fragilità: la malattia, la morte, la fine che viene vista come l’inizio di qualcos’altro e l’amore che annulla la sofferenza e ne migliora l’esistenza.
In questo ultimo lavoro non mancano omaggi più o meno velati alla filosofia platonica che vede nell’amore tutto quello a cui l’uomo aspira, ma c’è di più. Stavolta Bianconi e compagni hanno voluto omaggiare il giovane poeta italiano Antonio Riccardi nella canzone Diorama e il cinema horror Anni Settanta-Ottanta, quello di Lamberto Bava e Dario Argento. Cinema che ha caratterizzato fortemente la grafica dell’album: la copertina con il ritratto della bimba dai capelli rossi circondata da piume d’uccello nere è, infatti, un chiaro richiamo all’attrice Nicoletta Elmi, tra le migliori interpreti della filmografia noir all’italiana. Dello stesso stampo il video di Nessuno, realizzato da Gianluca Moro e Daniele Natali, presentato pochi giorni fa.
Citazioni colte, dunque, che caratterizzano da sempre tutto il percorso artistico dei Baustelle, rendendo questa band un unicum nel panorama musicale italiano. Francesco Bianconi lo si può definire anima e voce del gruppo: compositore, musicista, paroliere, ma anche scrittore, dato che per Mondadori ha dato alle stampe il suo primo romanzo, Il Regno Animale.
Il vostro mondo musicale ha percorso, fin dagli esordi, strade ardue legate concettualmente al misticismo occidentale ispirato dal filosofo vissuto a Montepulciano, Elémire Zolla. Ed è legato alla filosofia epicurea e platonica, che caratterizza il nuovo album Fantasma. Difficile pensare che siano brani scritti per un pubblico vasto. Esiste un confine tra il momento in cui scrivi solo per te stesso e per il pubblico?
Non scrivo mai solo per me stesso. Presuppongo sempre un ascoltatore, un destinatario. Altrimenti è solo masturbazione. È un tema che mi sta molto a cuore: nella musica popolare vedo sempre più l’atteggiamento, da parte degli artisti, del cercare di immaginare quale possa essere il pubblico a cui indirizzarsi. Con tutte le degenerazioni che ne conseguono. C’è chi il pubblico lo cancella (“Scrivo per me, solo io mi posso capire“), chi lo segmenta (“Scrivo solo per chi mi può capire“).
Io credo che il pubblico esista, si chiami mondo, e sia molto più intelligente di quanto si creda. Il mondo ha mandato in classifica Bob Dylan e Jacques Brel. Eppure, quando pensiamo alle loro canzoni, non le pensiamo come “facili” o “leggere”. Quindi perché, come artista inserito in un sistema di comunicazione di massa, dovrei autocensurarmi in partenza? Perché dovrei costruirmi un modello di ascoltatore stereotipato, se non addirittura menomato? Un giornalista musicale che mi ha intervistato all’uscita di Fantasma mi ha detto: “Ma non pensate di aver fatto un disco stancante? Non pensate che possa risultare pesante per il pubblico?“. Ecco, ci manca solo che la stampa si preoccupi per me e mi suggerisca quanto pesanti debbano essere i miei dischi. Il marketing può far male, o perlomeno, nelle faccende che hanno a che vedere coi processi creativi, non sempre funziona.
Molti testi delle tue canzoni trattano di personalità del mondo della cultura contemporanea ai margini dell’ufficialità: Baudelaire, Bianciardi, Edgar Allan Poe (citato anche nel nuovo album), Piero Manzoni. In che modo ti hanno influenzato?
Molto banalmente, nella formazione di una mia poetica, di una mia identità culturale. Quelli che hai citato mi hanno influenzato molto. Ma non solo loro.
Ti consideri più scrittore o musicista?
Non saprei. Posso migliorare in entrambi i campi. E in altri campi pure. Quelli non ancora esplorati, intendo.
La ricercatezza che vedo nei testi la ritrovo nei video. Ci parli del videoclip di Nessuno, l’ultimo uscito?
Con Gianluca Moro e Daniele Natali, i registi, avevamo già lavorato alla produzione di quattro piccoli filmati promozionali per il lancio di Fantasma. L’idea, allora, era stata di immaginare il disco come una sorta di film misterioso, uno psycho-thriller magico. Gianluca e Daniele avevano quindi realizzato piccoli trailer in cui la protagonista – la bambina coi capelli rossi ritratta sulla copertina del disco – si aggirava in contesti da favola nera minacciata da oscure presenze. Il lavoro su questi minifilm era stato particolarmente stimolante, quindi, quando si è trattato di pensare a quali potessero essere le immagini migliori per accompagnare la canzone Nessuno, ci è venuto in mente di tornare a rivolgerci a loro.
Insieme a Gianluca e a Daniele abbiamo pensato che il clip dovesse rappresentare una sorta di forma espansa dei trailer: “Abbiamo servito gli assaggi, adesso ci vuole la portata principale”, ci siamo detti. La canzone, che ridotta ai minimi termini tratta di ricerca di assoluto e d’innocenza in tempi deteriorati e colpevoli, in fin dei conti si sposava bene con la rappresentazione di un funerale. Un funerale magico, con una bambina che non è più una bambina, nel suo mondo di soldatini di plastica, marionette e processioni nel bosco. Un funerale alla giovinezza. Che, diceva bene Sandro Penna, è forse “soltanto questo perenne amare i sensi e non pentirsi“; ma che, a volte, il buio dell’anima e della storia tende a mortificare. Gli interni sono stati girati in uno studio a Roma, gli esterni nelle campagne circostanti.
Hai studiato a Siena con Omar Calabrese. Cosa ti rimane di quel percorso di studi e quanta influenza ha in quello che scrivi?
Povero Omar Calabrese, mi è dispiaciuto tanto… Ho dei bellissimi ricordi delle sue lezioni all’università. La semiotica serve. Aiuta ad analizzare il mondo senza pericolo di derive soggettivistiche e romanticismi.
Nei testi e nei video spesso ci sono omaggi e citazioni all’arte contemporanea, da Cattelan a Manzoni, fino a Bruno Munari. Quanto segui quel mondo?
Mi interessa molto l’arte contemporanea, anche se confesso di seguirla, ultimamente, in maniera un po’ distratta. Mi capita di andare alle mostre, ma sempre più raramente mi capita di innamorarmi di qualcosa. Ovviamente ci sono artisti che mi piacciono, e anche molto: ho già dichiarato esplicitamente (dopo aver scritto Charlie fa surf) di amare l’opera di Maurizio Cattelan. Mi piacciono anche Luigi Presicce, Francesco De Grandi, Laboratorio Saccardi, Paolo Guido. Dopo un concerto a Montecatini si è avvicinato timidamente un ragazzo che mi ha lasciato un libretto. L’ho sfogliato poco dopo in hotel: conteneva foto di sculture in legno. L’autore si chiama Fabiano De Martin Topranin, e lo contatterò perché voglio fargli i complimenti, mi ha davvero colpito.
In Un romantico a Milano canti: “Tra i Manzoni, preferisco quello vero: Piero”.
Amo sia Piero che Alessandro. Non ce l’ho affatto con I Promessi Sposi, che è un capolavoro della letteratura italiana e in quanto tale è giusto che si continui a studiare nelle scuole. Quelle parole vogliono dire soltanto: “Attento, ragazzo, c’è tanto da scoprire, oltre quello che passa il convento”.
Nella stessa canzone dici: “Quando la Madonnina muore, nasce un fiore”. Cosa vedi nella Milano di oggi e che cosa la accomuna alla Milano del dopoguerra vissuta da Luciano Bianciardi?
Sono due Milano completamente diverse. Quella di Bianciardi era una Milano del boom economico (e culturale, anche). Quella di adesso è un guscio rinsecchito. Un contenitore senza quasi più contenuto. Mi duole ammetterlo, ma è quello che penso. Bisogna lottare affinché Milano torni a essere bella. In molte canzoni dei Baustelle viene denunciato questo decadimento di Milano, questo suo degrado. La grandezza di Bianciardi è stata di capacità divinatoria: ha saputo vedere, anche in condizioni di vento favorevole, che la barca aveva delle falle e che sarebbe presto affondata.
Nei vostri video privilegiate location consunte, paesaggi decadenti, zone isolate, come in attesa, sospesi nel tempo. Sembrano ispirate stilisticamente alla cultura mitteleuropea dei primi del Novecento, fino ad arrivare, con l’ultimo album, a un omaggio al cinema horror di Dario Argento e Lamberto Bava, che si nutriva della stessa cultura. Perché questa scelta?
Il cinema horror e thriller italiano, soprattutto quello di Argento, è una mia passione-ossessione, è risaputo. E in generale il cosiddetto “cinema di genere”, di ogni tempo, italiano e non. Ma bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare: i videoclip non sono sempre farina del nostro sacco. Diciamo che gran parte del merito va ai registi. Evidentemente nella musica dei Baustelle ci sono da sempre le componenti di cui parli, più o meno nascoste, e spesso chi deve tradurre in immagini le nostre canzoni è bravo a farle venire a galla più nitidamente.
Alessandra Marzuoli
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