Colpa di Alfredo. La magia di Nicolas Jaar
È uno degli enfant prodige della scena dell’elettronica sperimentale attuale. Nicolas Jaar, figlio del rappresentante cileno alla Biennale di Venezia, è stato con Artribune in quel di Barcellona durante il Sonár 2013. Dov’ è ritornato come una delle proposte musicali più attese del festival.
Una rivista leader per la musica indipendente come Pitchfork ha inserito il tuo primo disco tra i migliori album del 2011. Space is Only Noise punto di partenza o punto d’arrivo?
Credo sia stato più un punto d’inizio, anzi lo è stato di sicuro. Con Space is Only Noise ho detto tutto quello che volevo dire in quel momento, tre anni fa. Però il principio è adesso, con l’album Darkside. Una nuova concezione di quello che ho da dire.
Da Space is Only Noise a Darkside, l’album atteso proprio per quest’anno. Eclettismo e contaminazione di generi sono davvero due componenti essenziali del tuo sound?
Credo che tutto ciò abbia molto più a che vedere con lo storytelling. È facile parlare di contaminazione di generi quando si analizza musica, ma dal punto di vista creativo e produttivo non è così. Quando si racconta una storia, è più interessante raccontarla con stile. E le storie non vanno da un genere a un altro, nascono spontaneamente, in modo quasi naturale.
Con un titolo come Darkside, c’è da chiedersi se non proseguirà quella vena malinconica e intima, la cosiddetta “blue wave”, con la quale tu stesso hai definito il suono del precedente album…
Se mai ci fosse stato un momento “blue wave”, allora Darkside è qualcosa di completamente differente. La “blue wave”? [Ride, N.d.R.] Era a metà strada tra un gioco per sdrammatizzare e una maniera per definire emotivamente, con i colori, il tipo di suono che mi rapiva in quel periodo. Quando suono vedo molti colori, così come la gente vede molti colori quando ascolta della musica. Però Darkside è qualcosa di diverso. Ho iniziato a notare altri colori.
Ti hanno identificato come un interprete della prossima elettronica concettuale, che percorre il limite tra l’acustico e il digitale. Con Alfredo Jaar come padre, viene da chiedersi cosa ti porti nella musica dal mondo delle arti visive.
La magia. Mio padre, prima ancora di essere un artista, da giovane era un mago. Il mio primo contatto con il mondo dell’arte è stato con la magia, con i giochi di prestigio di mio padre. Mi porto dietro quello stesso momento di rivelazione che caratterizza l’impatto con l’arte, che è qualcosa di tanto magico come la liberazione psichedelica della musica. Tutto questo ha molto a che fare con la magia.
Tuo padre, un artista con questo passato da mago, ti avrà ispirato in qualche modo…
Quando ero piccolo facevamo molti viaggi per visitare le sue opere pubbliche. Mi ripeteva sempre che dovevo essere “content specific”, ossia che dovevo basarmi sul contenuto delle opere rispetto al luogo e al contesto in cui mi trovassi. Nelle mie performance cerco sempre di essere molto “content specific”, ossia di esprimermi nel modo giusto al momento giusto.
A parte l’uscita di Darkside, quali sono i progetti per il futuro?
Penso che, in termini di performance, quello che ho fatto finora sia ancora nulla rispetto a quello che vorrei. Mi piacerebbe essere sempre più radicale. Due momenti straordinari sono stati i lunghissimi live diurni al MoMA di New York e quello al Museo d’Arte Contemporanea di Boulder, in Colorado. Due musei, cinque ore d’improvvisazione completa, alcuni collaboratori, artisti visivi, il pubblico del museo che da mero spettatore diventava parte integrante dell’esibizione… In quei momenti tutti parteciparono allo show come mai prima di allora. Sono state due performance incredibili, e tornerei a farlo altre mille e mille volte.
Enrichetta Cardinale Ciccotti
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