Controtempo V: tiriamo le somme
A gennaio Artribune ha annunciato la quinta edizione del festival internazionale Controtempo, tenutosi a Roma dal primo al 15 febbraio, organizzato a Roma dall’Accademia di Francia a Villa Medici in collaborazione con l’Accademia Filarmonica Romana, l’Auditorium Parco della Musica, lo GMEM - Groupe de Musique Expérimental de Marseille, la Wigmore Hal di Londra, l’Auditorium du Louvre, la Philarmonie du Luxembourg e il Festival di Aix-en-Provence. Un grande sforzo collettivo da parte di istituzioni di indubbio prestigio. Vediamo com’è andata.
Gli otto concerti del festival internazionale Controtempo si sono tenuti nell’intimo Gran Salon di Villa Medici, tra arazzi del Seicento e una splendida vista sul centro di Roma illuminato, nella bucolica Sala Casella nei pressi di Villa Borghese e nella enorme Sala Santa Cecilia del Parco della Musica.
Il tema del festival è stato il quartetto d’archi, in cui i quattro strumenti si fondono in un unico strumento a sedici corde. Non sono mancati concerti in cui i quartetti, che suonavano simultaneamente, erano due, diventando uno strumento a trentadue corde. Nel concerto finale, il quartetto principale era circondato da otto quartetti, raggiungendo così 128 corde.
Altra caratteristica, il nesso con il visivo: non solo l’architettura rinascimentale di Villa Medici e l’atmosfera quasi bucolica della Sala Casella. Quasi in contemporanea con il festival si teneva infatti all’Accademia di Francia una mostra di Simon Hantaï, che resterà aperta sino all’11 maggio. Inoltre, il concerto finale nella Sala Santa Cecilia era esso stesso un coup de théâtre, con gli otto quartetti disposti in posizioni strategiche sullo smisurato palcoscenico e la musica spettrale di Horatio Radulescu (con molti riferimenti a quella di Gérard Grisey, Tristan Murail, Hugues Dufourt) che conduceva in un Medio Evo molto postmoderno.
Tre i tratti fondanti di questo festival. In primo luogo, i quattro concerti affidati al quartetto Diotima hanno evidenziato quanto sia contemporanea la musica chiamata “classica”. Hanno accostato l’integrale del Livre des quators di Pierre Boulez nella riscrittura del 2011 della composizione originale del 1948-49 con i quattro quartetti tardo romantici composti da Arnold Schönberg nei primi anni del Novecento e gli ultimi quattro quartetti di Ludwig van Beethoven dell’inizio dell’Ottocento. I nessi sono molto forti e Beethoven sembrava essere cugino del Novecento storico, ove non di esperienze ancora più moderne.
A introduzione, quasi, del raffronto Beethoven-Schönberg-Boulez, quattro giovani compositori (Laurent Durupt, Francesca Veronelli, Mauro Lanza e Raphaël Cendo) hanno mostrato i loro lavori (due ottetti e due quartetti) affidati al quartetto Tana e al quartetto Qvixote e a live electronics. Composizioni differenti (dal descrittivo all’introversione intimista), accumunate dalla ricerca di nuove sonorità, mantenendo simmetrie ma rifiutando ogni formalizzazione classica e abbracciando lo stile libero della sonata o del capriccio.
Grandioso il concerto finale dedicato a due compositori recentemente e prematuramente scomparsi: il marchigiano (ma messicano di cultura musicale e passione) Stefano Scodanibbio e il romeno Horatio Radulescu, con radici nella cultura magiara ma plasmato sia da Darmstadt che nel parigino Ircam. Musica di Scodanibbio (affidata al quartetto Arditti) ha aperto il programma con un solo per violino e la rielaborazione di musica messicana (tra cui Besame Mucho). Ha fatto seguito il Quartetto N. 4 di Horatio Radulescu, a cui il compositore ha lavorato per quasi vent’anni. È un quartetto particolare: il quartetto Arditti al centro del palcoscenico a 431 herz in intervalli di quinta, circondato da otto quartetti che simulano un’immaginaria enorme viola da gamba con 128 corde. Il lavoro dura ben 45 minuti, con effetti spettacolari sotto il profilo sia sonoro che visivo.
Giuseppe Pennisi
http://www.villamedici.it/it/programma-culturale/programma-culturale/2014/02/controtempo/
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