Dai Radiohead a Penderecki: classico e contemporaneo s’incontrano a Varsavia
Sullo stesso palco Jonny Greenwood (Radiohead), Bryce Dessner (The National) e Beth Gibbons (Portishead). Con loro, l'orchestra nazionale polacca e un conduttore di primo livello: Krzysztof Penderecki, compositore tra i più apprezzati di tutti i tempi. L'obiettivo? Sensibilizzare il grande pubblico sulla duttilità e il carattere sperimentatore della musica classica.
Promuovere, sostenere e far amare la musica classica è cosa per pochi. Decidere di farlo utilizzando canali contemporanei con l’obiettivo di arrivare al grande pubblico (e soprattutto a un pubblico giovane) è a maggior ragione una scelta tanto notevole quanto rara oggigiorno. La Polonia, in questo, rappresenta una eccezionale singolarità nel contesto culturale europeo.
Da sempre impegnato a sostegno della cosiddetta “musica colta”, il Paese è uno dei pochi esempi in grado di testimoniare come tradizione e modernità in ambito musicale possano convivere con equilibrio, sostenendosi reciprocamente, sdoganando retaggi culturali e diffidenze a vantaggio di un modello che promuova il contatto tra gli opposti e sostenga la sperimentazione artistica.
L’evento andato in scena sabato 29 novembre presso il Teatr Wielki – Opera Narodowa di Varsavia è stato un esempio brillante: tre grandi artisti della musica contemporanea internazionale più “pop” si sono incontrati con tre autori illustri della musica “colta” polacca, alla ricerca di un’interazione a distanza in cui presente e passato si sono toccati per dar vita a nuove soluzione compositive.
Nello specifico Jonny Greenwood (chitarrista dei Radiohead), Bryce Dessner (compositore e chitarrista della indie rock band The National) e Beth Gibbons (cantante della band trip hop inglese Portishead) hanno riproposto, accompagnati dalla NOSPR – Narodowa Orkiestra Symfoniczna Polskiego Radia, alcune delle sinfonie più note di Henryk Mikołaj Górecki (1933-2010), Witold Lutosławski (1913-1994) e Krzysztof Penderecki, compositori polacchi tra i più apprezzati di tutti i tempi.
Ad aprire il concerto è stato lo stesso Krzysztof Penderecki, compositore di successo nelle avanguardie del dopoguerra e convinto sperimentatore. La sua Polymorphia, composta originariamente nel 1961, è stata eseguita con impeccabile perfezione dall’orchestra, guidata con grazia dall’autore, capace di far tenere il fiato sospeso per oltre venti minuti a un pubblico in estasi di fronte alle tensioni melodiche e alle continue inquietudini sonore che attraversano il brano. Non è un caso che l’opera, eseguita per la prima volta più di cinquant’anni fa, sia ancora oggi fonte d’ispirazione per artisti ben più giovani ma decisamente affascinati dal carattere innovativo del componimento.
Tra questi Jonny Greenwood, da sempre grande ammiratore di Penderecki, e già collaboratore dello stesso insieme ad Aphex Twin, altro nume della musica elettronica contemporanea. La sua variazione 48 Responses to Polymorphia, eseguita in scena da Bassem Akiki, è stata una risposta al capolavoro del maestro polacco. Il componimento, dal carattere decisamente più pacato rispetto all’opera originale, si è imposto con un tono assai più classico, come a voler ricondurre verso un ordine l’aspetto tormentato del brano.
A seguire Greenwood è stato ancora Penderecki, con un omaggio a Witold Lutosławski, a cui ha fatto coda la composizione di Bryce Dessnercon una sinfonia anch’essa in omaggio a Lutosławski, a ricordare il direttore d’orchestra polacco vent’anni dopo la sua scomparsa.
Ultima esecuzione, prima della chiusura del primo atto del concerto, è stata la III Sinfonia di Henryk Mikołaj Górecki, eseguita da Penderecki con variazioni contenute, mantenendo pressoché inalterato l’atteggiamento minimale del componimento originale.
L’ultima parte della serata è infine stata occupata da un’improbabile collaborazione: sul palco, insieme a Krzysztof Penderecki e la sua orchestra, è infatti salita Beth Gibbons, cantante e fondatrice dei Portishead. Elegante, discreta e molto emozionata, ha sfilato tra i musicisti per arrivare a sedersi di fianco al palchetto di Penderecki. Accolta dallo stesso con un abbraccio affettuoso e comprensivo – dato lo spessore dell’evento e vista l’emozione della cantante, nonostante i vent’anni di attività alle spalle – Gibbons ha intonato un antico lamento in lingua polacca della durata di circa mezz’ora. La grazia struggente della sua interpretazione, assieme alla sorprendente pronuncia della lingua polacca (raggiunta dall’artista con mesi di studio e prove), hanno permesso al pubblico di assaggiare attimi commoventi, rafforzati dall’atmosfera sacra creata dall’orchestra, capace di accompagnare il canto della Gibbons con un’esecuzione tesa, inquieta, interrotta da striduli e lamenti sonori, ma sempre rispettosa e capace di porsi in secondo piano, lasciando spazio alla voce toccante della cantante inglese.
Conclusa la serata, ogni artista (da Greenwood a Dessner a Gibbons) è salito sul palco per abbracciare Penderecki, omaggiandone le capacità artistiche, ma soprattutto lo spirito innovatore. Poco più che ottantenne, il compositore polacco ha infatti dimostrato ancora una volta una eccezionale abilità nel mettersi in gioco, trasportando la musica classica al di fuori dei canali convenzionali, aprendola a un pubblico giovane e non necessariamente esperto, alla ricerca di collaborazioni artistiche che favoriscano l’incontro tra opposti e incitino alla sperimentazione.
Considerando la lunga carriera del direttore, e i traguardi che ne hanno consacrato la notorietà a livello mondiale, tutta l’attività di Penderecki può esser vista come una costante e caparbia missione: quella di sensibilizzare il grande pubblico sulla duttilità della musica colta, capace di sposarsi con le istanze più contemporanee, evolvendosi per rimanere tuttavia sempre fedele a una tradizione secolare.
Alex Urso
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