Witch House Music. Suono anni ’80 in era post Youtube
Alla fine degli Anni Zero nasce un nuovo genere musicale che ne riflette la confusissima cultura. Mescola hip hop, industrial e goth. Con alcuni elementi ricorrenti: gusto per l’occulto, suoni e voci rallentate, uso amatoriale della tecnologia. Da scovare su Internet. In segreto...
SU YOUTUBE, MA PER POCHI
La witch house non esisterebbe senza Internet e, soprattutto, senza Youtube, che da due lustri (questo è l’anno del decennale: il 23 aprile 2005 fu caricato il primo video) fa diventare fenomeni degli autentici sconosciuti. Con video per lo più amatoriali, dove non sono richieste particolari competenze tecniche ma solo una buona dose di sfacciataggine. Poi sarà il numero di visualizzazioni raggiunte a decretarne il successo o meno.
Ma la witch house, nata e proliferata proprio sul web (e di cui si serve a piene mani per i suoi scopi creativi), paradossalmente sembra ostinarsi a nascondersi, a relegarsi in poche playlist ufficiali, per giunta introvabili se non si conosce l’esistenza di questo genere-non genere musicale. Questo a causa della cripticità di molti gruppi, dai nomi spesso impronunciabili, con simboli esoterici (per lo più croci e triangoli) degni di una setta satanica o di una comunità di iniziati. Quasi per “una reazione contro Internet”, secondo la teoria di Robin Carolan, fondatore di Tri Angle, l’etichetta discografica con base a Londra e a New York che, insieme alla Disaro Records, distribuisce offline questi suoni oscuri.
MASH UP E GENESI
Musicalmente la witch house campiona da tutti i generi: dall’hip hop alla new wave, alla musica dark, techno, dance, industrial, rallentando, manipolando e distorcendo il brano (spesso degli Anni Ottanta), ma sempre all’interno di un contesto house. Visivamente fa lo stesso tipo di operazione, prendendo frame ovunque, dall’animazione giapponese ai film Anni Quaranta, in linea con la filosofia internettiana del miscelare tutto in un grande calderone, senza più confini tra generi e decadi temporali.
Il termine nasce per scherzo verso la fine del 2009, quando gli statunitensi Travis Egedy aka Pictureplane (produttore mutimediale che prima di allora aveva remixato pezzi di band come Crystal Castle) e Jonathan Coward aka Shams, coniano la dicitura “witch house” per descrivere ironicamente il loro stile musicale, fatto di dance music con venature dark e forti radici nell’occulto. Ma solo dopo che Pitchfork, la nota webzine di critica musicale, ne scrive in termini entusiastici, dando credito al loro autodefinirsi (insieme a Modern Witch) band witch house, molte persone cominciano a postare su diversi blog il neologismo, facendolo diventare un meme.
La consacrazione definitiva arriva nel 2010, grazie a un articolo di Brian Harkin per il New York Times, in cui racconta di una nuova ondata di artisti come White Ring, Balam Acab, Oooo, e su tutti i Salem (o S4LEM), un trio del Michigan giudicato il capostipite del genere, che si contraddistingue per una musica lenta, dove l’hip hop è centrale ma dove giocano un ruolo fondamentale anche il dub, il goth, l’electro e l’ambient.
IL DECALOGO DELLA WITCH MUSIC
Nonostante ogni musicista abbia caratteristiche proprie – quasi un dubstep rudimentale per Alec Koone aka Balam Acab, campionamenti pesanti su basi eteree per Oooo, e il versante più oscuro del synth-pop per White Ring – ci sono alcuni denominatori comuni: le parti cantate non esistono perché si tratta solo di voci manipolate e remixate da brani altrui, grazie a software come Logic, Ableton, Audacity, GarageBand, FruityLoops; il suono è sporco e rallentato; l’atmosfera è quasi sempre drammatica, esasperata e spettrale.
C’è anche un decalogo per creare musica witch house, quello stilato dal suo “inventore” Travis Egedy, attraverso tredici regole fondamentali: dalle più improbabili ed esoteriche, come mangiare melograno e portare con sé sempre dell’onice, a quelle più strutturali per l’immaginario witch, come fare graffiti e studiare i saggi Immediatism e T.A.Z. – The Temporary Autonomous Zone, Ontological Anarchy, Poetic Terrorism del 1991, l’opera più famosa di Peter Lamborn Wilson, più noto con lo pseudonimo di Hakim Bey. Un anarco-situazionista e scrittore statunitense, con influenze legate al sufismo, che ha teorizzato il concetto di Zona Autonoma Provvisoria, ovvero una zona franca, reale o virtuale, libera dal dominio del sistema capitalista, che tutto omologa e normalizza per disinnescare ogni focolaio di contestazione. Un cult per le controculture cyberpunk e per le utopie comunitarie in Rete. E ora anche per i seguaci della witch house music.
Claudia Giraud
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #24
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