I bagliori del suono. Alfredo Pirri e Alvin Curran a Firenze
Firenze continua a provarci e riaccende i riflettori sull'arte contemporanea in grande stile. Dando il via ad una serie di appuntamenti che faranno parlare della città di Dante per le prossime settimane. Intanto vi raccontiamo di “Firenze Suona Contemporanea”.
LE COORDINATE DEL FESTIVAL
Si chiama Firenze Suona Contemporanea – dal 9 al 22 settembre – e si traduce in un festival internazionale che mette insieme musica moderna e contemporanea con le arti visive più recenti, in un binomio interessante che dimostra le potenzialità e il fascino dei linguaggi e le loro commistioni.
Ormai giunto all’ottava edizione, il festival – diretto dal compositore italo-americano Andrea Cavallari e dalla compositrice e pianista Luisa Valeria Carpignano – negli ultimi due anni ha arricchito la sua programmazione inserendo in calendario lecture, performance e installazioni d’arte, conferendo all’immagine e all’azione un ruolo sempre più importante.
ALFREDO PIRRI, LA TOSCANA E LA LUCE
Proprio di immagine e di azione, di suggestioni luminose e sonore si parla nell’opera di Alfredo Pirri e Alvin Curran – una collaborazione d’eccellenza – realizzata grazie al prezioso sostegno delle gallerie fiorentine Eduardo Secci ed Il Ponte e visibile fino al 31 ottobre presso il Museo del Novecento.
Passi: è questo il titolo dell’installazione che Pirri ha realizzato per il cortile interno del Museo del Novecento e che affonda le proprie origini nell’ormai lontano 2003, quando l’artista calabrese – invitato da Achille Bonito Oliva alla mostra Le Opere e i Giorni svoltasi a Padula in un arco di quattro anni – metteva a punto per la prima volta la sua fortunata installazione. Inoltre alla stessa mostra era presente anche Curran con una scultura sonora, Ritratto di A.B.O.
Pirri inoltre non è affatto nuovo alle esperienze toscane: ricordiamo a tal proposito la sua installazione Passi al Museo Mario Marini nel 2006, alla Tenuta dello Scompiglio nel 2009 e nel 2012 alla Galleria dell’Accademia. Del resto conosciamo il lavoro dell’artista e la sua propensione più che alla scultura alla pittura, ma soprattutto alla luce che “disegna” le forme e crea le ombre all’interno di uno spazio che sempre diverso viene “ammaestrato” e gestito secondo una spiritualità laica più unica che rara.
LA PERFORMANCE DI PIRRI E CURRAN
L’installazione si compone di una serie di specchi antinfortunistica che vanno completamente a ricoprire – configurando una croce greca inscritta in un quadrato – i camminamenti del cortile interno del Museo del Novecento, del quale si percepiscono solamente le verdi aiuole lasciate scoperte. L’immagine iniziale è molto suggestiva, gli specchi montati su una superficie morbida – che ne agevola la rottura – e successivamente adagiati sul pavimento sembrano fluttuare nel vuoto interagendo con le luci e i colori dello spazio a creare bagliori diffusi che stimolano emotivamente lo spettatore.
La performance inizia con due boati prodotti dal lancio di due massi sugli specchi e a distanza di una manciata di secondi Pirri, con un suo collaboratore, entra in scena e muniti di aste in legno cominciano a battere energicamente sul pavimento specchiante producendo rotture, crepe, frantumazioni.
Intanto da posizione defilata Alvin Curran inizia a campionare i feedback provenienti dai microfoni collocati nello spazio e, creando un flusso continuo, costruisce e de-costruisce con una semplicità disarmante suoni complessi che ibridano registrazioni tratte dal suo archivio personale con quelli prodotti in diretta dalla tastiera e dal sintetizzatore. I suoni naturali ed elettronici si rincorrono in un contrappunto disordinato e asincrono, aumentano e diminuiscono d’intensità e provano a creare un parallelo, ben riuscito, con l’azione in divenire di Pirri che si conclude con una craqueleure diffusa sull’intera superficie calpestabile dello specchio.
CAMMINARE SUI VETRI
Il pubblico, invitato dall’artista, si dirige verso il cortile per osservare da vicino e camminare sulla superficie, che allo stesso modo di una pittura a olio mostra sulla propria pelle un disegno – in questo caso – incontrollato dell’energia disomogenea che lo ha prodotto. S’innesca perciò un gioco incrociato e continuo di prospettive rovesciate che rendono l’immagine riflessa dagli specchi frantumati una sorta di epifania instabile e liquida.
In questo scenario a tratti surreale, falsato, alterato dalle luci e dai colori, dalle rifrangenze distopiche di tutto quanto va a situarsi all’interno dell’opera, assistiamo a una straniante e incisiva ri-configurazione architettonica che non vuole affatto sostituirsi al reale, ma amplificarne il rapporto spazio-temporale.
La superficie orizzontale del pavimento inverte la lettura del cortile del museo e con essa la relazione che va a instaurarsi con il fruitore che, procedendo su tale inconsueta superficie, contribuisce ad accrescerne le fratture.
Passi è per questo semplicemente complessa. Non è una performance né una scultura, non è una pittura né un’installazione luminosa o sonora, ma ingloba tutto ciò in un armonioso e fluido sposalizio con gli spazi architettonici che l’accolgono.
Gino Pisapia
www.firenzesuonacontemporanea.it
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