Strani oggetti, i libri musicali, e Gli Standard del Jazz. Una guida al repertorio (2015) lo è ancora di più, perché è un archivio. Finalmente disponibile in italiano grazie a EDT, Siena Jazz e Francesco Martinelli (che cura e traduce), quella di Ted Gioia è un’enciclopedia che è possibile ascoltare solo se si chiudono gli occhi e si fa uno sforzo per farsi tornare alla mente questo o quello tra gli standard (oltre 250) catalogati meticolosamente, o questa o quella – più o meno memorabile – esecuzione.
Perché Gioia, oltre a catalogare, consiglia, un po’ come Murakami Haruki nello scialbo Ritratti in Jazz (Einaudi, 2013). Gioia è il musicista e lo studioso, Murakami lo scrittore e l’appassionato che fa colpo sulle donne mostrando la sua collezione di… vinili.
Di Coleman scrive: “All’inizio degli anni ‘90 Ornette Coleman è venuto in Giappone insieme alla sua band […] e ha tenuto un concerto all’aperto nel parco di divertimenti Yomiuri Land. Era una domenica pomeriggio, e io ho assistito al concerto bevendo tranquillamente una birra. Con mia grande sorpresa, dovevo constatare che suonava in modo spontaneo e pieno di humour”.
Si confronti la beatitudine zen di Murakami con l’acredine del contrabbassista Neidlinger che nel ‘66 diceva: “Ho sentito che il nuovo jazz va forte soprattutto in Scandinavia, ma anche in Germania, in Francia, in Italia. [Cecil Taylor] mi ha detto che gli operatori sono sì dei farabutti [come in America], ma almeno sono farabutti un po’ sofisticati”.
E proprio a farabutti un po’ sofisticati, oltre che a grandi musicisti passati per Torino, è dedicato l’ultimo volume su cui ci soffermiamo: Marco Basso ha dedicato un gran bel libro a Torino la città del jazz (SV Press, 2015), con prefazione di Enrico Rava e postfazione di Stefano Zenni, che del Torino Jazz Festival, con i suoi numeri da capogiro, è il deus ex machina. Un volume carico di ricordi, immagini, suggestioni: quando si finisce di leggerlo e di guardare le foto, lo si depone nella propria libreria, pensando che se Torino è diventata la città del jazz in Italia, quei farabutti di cui parlava Neidlinger, a Torino, dovevano (e devono) essere proprio sofisticati.
Vincenzo Santarcangelo
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #27
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