Il suono di Bristol, in un festival
Il prestigioso BBC 6 Music Festival, dopo le edizioni di Manchester e Newcastle, ha invaso Bristol con concerti e dj set. Ma lo ha fatto anche attraverso mostre, talk, incontri, per esplorare le mille anime del genere musicale – il trip hop – che identifica il suono della città. Ecco un report del terzo capitolo di questa rassegna itinerante, che trasporta tutti i componenti di una stazione radio digitale in uno spazio fisico reale.
Nel 1991 esce Blue Lines dei Massive Attack, che consegna al mondo l’anima impastata e languida del Bristol Sound. Sono suoni che colano da club sotterranei, che hanno il sapore del freddo che gela le ossa e dei bassi che scuotono le viscere. Il trip hop rielabora in chiave elettronica i toni dell’hip-hop, contaminandoli con spiragli soul, atmosfere jazz, tonalità blues e reggae, ritmi dub, trascinando tutto sotto i 120 bpm in un tormentato chill out mentale. Proprio 3D (al secolo Robert Del Naja) qualche anno dopo canta, in Risingson: “You light my ways through the club maze. We would struggle through the dub daze”. Massive Attack, appunto, poi Portishead, Tricky, ma anche Archive, Lamb, Lambchop, Thievery Corporation, Kruder & Dorfmeister, Moloko, DJ Shadow, Goldfrapp, oltre alle innumerevoli influenze su artisti e generi musicali a seguire.
IL FESTIVAL
Bristol – European Green Capital 2015 – è una città particolare. Che intreccia le eredità paradossali del passato legato alla tratta degli schiavi – e la conseguente diversità razziale – a un genius loci bohémien e fieramente indipendente. Qui, qualsiasi attività creativa è basata sulla mescolanza di generi, razze, media, stili. I confini già labili tra le arti si stemperano in nome di una “visione comune”, un’attitudine mentale. Ed è la capitale del South West, area britannica in cui storicamente le dinamiche creative si esprimono su piattaforme non convenzionali.
La terza edizione del BBC 6 Music Festival, dopo quelle di Manchester e Newcastle, non poteva non omaggiarla: dal 12 al 14 febbraio scorsi, la musica si è sparsa in tutta la città con una line up composta da grandi nomi internazionali – più di 50 concerti in 5 location ufficiali – e talenti locali, in una miriade di eventi off affidati a The Fringe Festival.
Primal Scream, Savages, Suede, Róisín Murphy, Foals, Underworld, Roots Manuva, Misty in Roots, John Grant, Beirut, Buzzcocks, Bloc Party e, ovviamente, i bristoliani: Tricky con il nuovo progetto Skilled Mechanics, il noise set di Geoff Barrow dei Portishead e Mark Stewart di The Pop Group, l’esplosivo Full Cycle show dnb di Roni Size e Dj Krust. Bassi dub e post-dubstep nel live set del re della scena underground bristoliana Pinch e Adrian Sherwood, che hanno incrociato i beat delle loro etichette Tectonic and On-U-Sounds. Bassi elettronici contemporanei fatti di grime, techno, house nella serata curata da Mary Anne Hobbs, dj di BBC 6, con le pulsioni di Pinch, Ziro, Kahn & Neek, Hodge.
Tra gli eventi diurni al centro culturale Trinity Centre, il live a suon di mellotron di Julian Cope, e delle leggende dub Mad Professor, Dennis Bovell e Adrian Sherwood, insieme per la prima volta in UK. Un fitto calendario di talk, come Making Music in the West con Roni Size, Blanck Mass e dj Queen Bee; e la mostra personale di Beezer, fotografo bristoliano che ha immortalato i primi vagiti e gli anni d’oro del Bristol Sound.
I LEGAMI CON LA CULTURA VISIVA
Quando dagli USA, negli Anni Ottanta, arrivano hip-hop e graffiti, 3D assume un ruolo chiave. Se Mark Stewart (The Pop Group) è il deus ex machina che imprime nel Bristol Sound l’anima punk, Del Naja, come membro del sound system The Wild Bunch lo fa girare nei party e nel famoso St Pauls Carnival. Come primo writer attivo in città, porta le influenze dei graffitisti americani, contribuendo a fare di Bristol la capitale inglese della street art. Tant’è che Banksy, altro illustre bristoliano, lo cita come una delle sue maggiori influenze.
Dai primi graffiti, utilizzati nella grafica degli inviti alle feste dei sound system, all’intera città come galleria d’arte a cielo aperto, il passo è breve.
Inkie, altra figura chiave della street art bristoliana, ha trasformato, con le edizioni 2011 e 2012 del festival See No Evil, le facciate di dieci edifici della centralissima Nelson Street in tele per 70 artisti. A sud della città l’Upfest, il più grande festival europeo di street art, ha ospitato oltre 250 artisti provenienti da 25 paesi del mondo.
Più a nord, l’intero quartiere di Stokes Croft è ricoperto di street art. In questo epicentro della vita notturna e cultural district bristoliano, dove nel 2011 ci sono state le rivolte contro l’apertura di un supermercato della multinazionale Tesco Express (poi aperto), esiste, oltre a una miriade di gallerie d’arte e atelier di designer indipendenti, People’s Republic of Stokes Croft, un’organizzazione che difende l’identità intellettuale e artistica della zona con mostre, workshop, talk. Il suo slogan: “We make our own future”.
Attualmente la scena street art di Bristol è più affollata che mai: Ghostboy, Kato, Mr Jago, Tristan Manco, Dicy, Xenc, FLX, Paris, Andy Council, Sick Boy.
E se Arnolfini in questi giorni, non a caso, ospita la video installazione Vertigo Sea di John Akomfrah (presente alla 56. Biennale di Venezia) – una potente riflessione sul rapporto dell’uomo con il mare (tra cui la tratta degli schiavi) – gli altri centri culturali – Spike Island, Tobacco Factory, View, Centrespace, Soma – confermano una scena artistica più viva che mai.
Marta Veltri
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