Sound art alla friulana. Invasioni sonore a Udine
Una città, due curatori, dodici installazioni. È il suono a guidare i passi del visitatore, attraverso il centro storico. Siamo a Udine, dove dal 3 al 12 giugno 2016 si svolge il festival “Il suono in mostra”: artisti internazionali cambiano la percezione dei luoghi, grazie alla sound art.
QUANDO IL SUONO VA IN MOSTRA
La forma del suono. La sua traduzione in spazio ed immagine. La possibilità di farsi contesto, percezione totale – non solo uditiva – esperienza del corpo, dello sguardo, dell’attraversamento. Il suono, come arte pubblica e narrazione scenica. Visibile a suo modo, oltre la magia dell’invisibilità. È questa la sfida de Il suono in mostra, primo festival di sound art del Friuli Venezia Giulia, ideato per la città di Udine da Antonio Della Marina e Alessandra Zucchi, fondatori della locale galleria Spazioersetti. Ed è proprio lo spazio urbano a diventare protagonista del percorso, tramite il filtro di opere sonore diffuse, liberamente accessibili.
Dal 3 al 12 giugno dodici installazioni prendono vita, tra location storiche e istituzionali – tutte identificate da fasci di luce color magenta, suggestivo intervento di light design firmato dalla stessa Zucchi – dischiudendo occasioni d’ascolto fuse con l’esperienza della visione e del transito. Suoni spazializzati, dunque, plasmati sull’architettura o semplicemente collocati all’interno di contesti atipici, che diventano casse di risonanza provvisorie.
Si tratta di un’ideale riscrittura del centro storico di Udine, provando – con l’ausilio di segni sonori – a modificare la percezione dei luoghi, a spezzare l’abitudine che distoglie lo sguardo, la disattenzione che sottrae lo stupore. Il suono, in questi casi, riaccende la consapevolezza: un piccolo incantesimo estetico in cui inciampare.
SPLENDIDE LOCATION: IL CASTELLO, IL BATTISTERO, IL RIFUGIO ANTIAEREO
Magico, incisivo, il lavoro pensato da Michael J. Schumacher (Washington, 1961) per il Rifugio antiaereo di piazza 1° maggio, riaperto di recente dal Comune, con tutto il suo carico di storia e le sue fascinazioni sotterranee. Room Piece Udine 2016 è l’ultimo lavoro di una serie iniziata nel 1993, dedicata alla relazione tra suono e spazio architettonico, attraverso l’uso di sistemi di diffusione multicanale. Tra i cunicoli del bunker, accesi da una luce rosso fuoco, si consuma l’inabissamento sonoro, grazie agli speaker accuratamente dislocati: disorientarsi, fra malie elettroniche, campionamenti, micro partiture intrecciate, è un’esperienza di temporaneo spaesamento e smarrimento tarkovskijano.
Altrettanto intenso l’intervento di Michele Spanghero (Gorizia, 1979), che sceglie il battistero del Duomo. Ambiente intimo, raccolto, in cui la vasca esagonale dialoga con sculture ed affreschi di pregio. Il tema: l’acqua, il rito del battesimo, la rinascita spirituale. E da qui parte Spanghero, campionando una goccia lasciata cadere nel fonte battesimale, con i successivi riverberi. La lavorazione dei field recordings genera poi una scrittura sonora minimale: trenta minuti di dilatazione progressiva, dal senso del sacro alla sacralità del suono. E il piccolo tempio religioso risuona, tra evocazioni simboliche e un lento disfarsi della materia fluida.
Timbri cupi e memorie tragiche per Alessandro Fogar (Grado, Gorizia, 1962), che affida a dei bassi intermittenti la sua installazione, nell’atrio del Castello. Le memoria del devastante terremoto, che il 6 maggio del 1976 travolse il Friuli, qui trova un corrispettivo sonoro: 21.00.12 è l’ora esatta in cui si registrò la scossa più imponente. Con l’aiuto di un geofisico, Fogar ha recuperato le trascrizioni dei sismografi dell’epoca, convertendole digitalmente in basse frequenze, manipolate fino a raggiungere una soglia udibile per l’orecchio umano. Nel segno della matematica si incrociano fisica e musica, scrittura del suono e misurazione dei movimenti tellurici.
Così, in corrispondenza dei minuti in cui si sono verificate le scosse principali, si liberano vibrazioni oscure, brevissime, possenti. Il visitatore vi si imbatte, all’improvviso, nella quiete della sua passeggiata; e il ricordo del sisma torna, come un rimosso inatteso: non il rumore dei crolli, non una traccia umana, emotiva, reale. Giusto una traduzione concettuale, misteriosamente perturbante.
DA SHAKESPEARE ALLO TSUNAMI. SUONI SENZA TEMPO
Tra le star di questa edizione anche Scanner (Southfields, Londra, 1964) – già collaboratore, tra gli altri, di Radiohead, Laurie Anderson, Merce Cunningham, Michael Nyman, Derek Jarman, Carsten Nicolai – che con Whispers and Dreams costruisce un omaggio poetico a William Shakespeare, nel cortile del settecentesco Palazzo di Toppo Wassermann, sede universitaria. I sogni e i sussurri del titolo sono quelli liberati da piccole tele nere incorniciate, distribuite lungo il perimetro dello spazio. Avvicinandosi ad ognuna, oppure restando fermi al centro, quando il silenzio si fa immacolato, è possibile catturare i bisbigli, quasi a sfondare quel velo tra realtà e immaginazione, che il grande drammaturgo andava esplorando, in punta di poesia.
Peccato che la location scelta, troppo esposta al passaggio ed al rumore, abbia sacrificato la natura meditativa e i volumi tenui dell’opera.
Degno di nota anche il lavoro di Hanna Preuss (Bydgoszcz, Polonia, 1952), una raffinata partitura evocativa – un po’ preghiera, un po’ ninna nanna, fra sospiri, distorsioni, aperture aeree – realizzata in Giappone durante lo Tsunami del 2011 e installata in un angolo (un po’ troppo sacrificato) del Museo di Casa Cavazzini; e infine quello di Kraig Grady (Montebello, California, 1952), all’ingresso della Biblioteca Civica Vincenzo Joppi: le note e gli accordi armonici, diffusi nello spazio attraverso quattro sorgenti, ricalcano un’antica figura geometrica indiana. Magnetico.
Sparse per il centro anche alcune installazioni ambientali, come i micro generatori di onde quadre, che dal soffitto di una delle logge di Piazza della Libertà evocano il canto dei grilli, accendendosi solo col buio: un po’ debole l’effetto – qualche decina di elementi in più avrebbe migliorato la resa – ma assai suggestiva l’idea.
Festival appena nato, indipendente e in crescita, Il suono in mostra funziona e rivela buoni margini di miglioramento, dal punto di vista organizzativo, del display e della continuità qualitativa. Intelligente la proposta, dotata di un respiro internazionale e di un concept rigoroso, nonché capace di un bel dialogo col contesto. Per il Friuli un nuovo, piccolo gioiello da coltivare.
Helga Marsala
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