Festival Moderno. Il futuro del pop è giallo limone
Prima edizione del “boutique festival” dedicato al nuovo pop. Nato dalla collaborazione tra Club To Club e Radar Concerti, è andato in scena per una sola sera al Circolo Magnolia di Milano, sulla scia del format che spopola in America e in Europa: piccolo, accogliente e con un’atmosfera amichevole, più da festa che da concerto vero e proprio. Un ottimo punto di osservazione sulla nuova estetica del pop.
POP AL LIMONE
Era il 2014 quando usciva Lemonade di SOPHIE e nel 2016 Beyoncé ha dato lo stesso titolo al suo ultimo visual album. Con un semplicissimo sillogismo, potremmo dire quindi che il limone è il futuro del pop. Anzi, l’oggi: il simbolo del suo rinnovato ottimismo. Perché non dovrebbe essere così? Ha un colore brillante, un sapore acidulo, un gusto fresco, è ipervitaminico, zuccherino, ed è anche per palati un po’ nostalgici. Sui social media e al Circolo Magnolia ha manifestato tutto il suo potere mediatico. Ma quella che potrebbe sembrare un’ironica campagna di comunicazione per lanciare il Festival Moderno, nato dalla collaborazione tra Club To Club e Radar Concerti, è in realtà una raffinata operazione iconografico-sinestetica. Il nuovo pop funziona così: energy drink ed emoji alla frutta. Snapchat e Pokémon Go. Da un punto di vista valoriale la rivoluzione l’ha fatta il digitale. E non stiamo parlando di estetica post-internet, perché sarebbe riduttivo. Stiamo invece descrivendo un fenomeno che riguarda la trasformazione dell’immaginario popolare, in cui ai tradizionali media che gli avevano dato forma – oralità, letteratura, cinema, radio e televisione – si aggiungono laptop, videogiochi, web, app e smart device. Come ieri l’LSD rappresentava la psichedelia, oggi il limone è il POP. I proverbi non mentono: “When life give you lemons, make a lemonade”. Che differenza c’è però rispetto al passato? Prima di tutto il pop non è un genere ma un territorio. Secondo: esattamente come l’America e il Giappone – le sue patrie elettive ma non esclusive – ha fame di traiettorie. Terzo: non è androgino ma è genderfluid.
IL FESTIVAL E GLI ARTISTI
Tutte affermazioni perfettamente incarnate dagli artisti presenti al festival. Per citarne alcuni: da Danny L Harle, uno dei musicisti più interessanti di PC Music, l’etichetta e il collettivo londinesi che hanno scagliato il pop in un’altra dimensione (non ci siamo ancora tolti dalla testa Broken Flowers), ai coloratissimi Kero Kero Bonito, con le loro influenze J-pop e video game music; dall’eclettico Dev Hynes, in arte Blood Orange, che col nuovo album, Freetown Sound, ci parla di identità da una prospettiva post-coloniale e intellettuale nera, a Mykki Blanco, icona multi-gendered, che recentemente, nel video di High School Never Ends, ha raccontato la storia di Romeo e Giulietta in versione queer, facendoci riflettere sulla relazione tra amore e intolleranza; fino all’esplosiva Grimes, femminista, indipendente (anche dopo aver firmato con Jay-Z), con la sua voce eterea e la sua poliedrica creatività: star indiscussa della serata, del nuovo pop e della rete.
BLOOD ORANGE LIVE
Stavamo fotografando il cielo blu cobalto, mentre Dev Hynes ci stava rapendo l’anima. Sì, perchè con la sua intensa nostalgia accompagnata da un falsetto, Blood Orange è amore. È Prince, il british funk, il primo hip-hop, la disco, i Jackson 5 e infinitamente altro ancora. L’impalpabile manifestazione del desiderio. E la frammentazione di innumerevoli domande: sulle radici, la mascolinità, la migrazione e ridefinizione della cultura nera. Il suo rapporto con quella bianca. Con Coastal Grooves, Cupid Deluxe, ma soprattutto con Freetown Sound, Blood Orange compie un viaggio verso l’interno, restituendoci tutta l’emozione di un’identità diasporica, di una presenza scenica che interpreta in maniera personalissima una gran varietà di influenze musicali e di immaginari. Da Paris Is Burning a John Coltrane, dalla Sierra Leone a J Dilla, in un perpetuo moto di andata e ritorno, tra gli Anni Ottanta e i primi Novanta, Blood Orange è l’eco della storia (e delle storie minori) nella contemporaneità del pop.
Carlotta Petracci
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