Musica e arte, in un disco. L’omaggio di Michele Pauli a Lovett/Codagnone
Il nuovo album del progetto solista di Michele Pauli, fondatore e chitarrista dei Casino Royale, ve lo raccontiamo a partire dal video esclusivo del singolo “Arpoon”, un omaggio a “Stay Gold”, l'opera del duo artistico Lovett/Codagnone che, iconograficamente e metaforicamente, ne racchiude il significato: un richiamo a esserci, un'urgenza comunicativa che dal punk arriva fino all'era digitale, in nome dell'autenticità.
Tre (Stay Gold), il nuovo album di Backwords, progetto solista di Michele Pauli, fondatore e chitarrista della storica band milanese Casino Royale, esplora un immaginario sonoro composito e crepitante, che deve molto alla musica da club ma anche a un inesausto lavoro di registrazione e archiviazione che racchiude due anni di produzione, dieci de facto. Uscito sulla OOH-Sounds, etichetta indipendente con una forte vocazione alla sperimentazione e all’incontro tra la musica e le altre arti, è il risultato di un processo compositivo che avvicina improvvisazione e concettualizzazione. Da un lato la propensione a instaurare un rapporto fisico con le macchine, connessa all’idea di corpo in espansione, dall’altro il richiamo quasi “politico” all’autenticità espressiva, in un periodo storico in cui si assiste a un radicale cambio di paradigma della produzione e del mercato musicale. “Se vogliamo leggerlo a partire dalla copertina”, opera realizzata dal duo newyorchese Lovett/Codagnone, “‘Tre’ manifesta una presa di posizione nei confronti della musica e della mia generazione. ‘Stay Gold’ – lo statement che accompagna il disco, tratto dalla canzone che Stevie Wonder scrisse per ‘I ragazzi della 56a strada’ di Francis Ford Coppola – traduce un’urgenza comunicativa e uno spirito di ribellione che accomuna il mio lavoro e quello di Lovett/Codagnone”, spiega Backwords, “la cui pratica artistica, che oscilla tra critica radicale, letteratura, cinema e punk, è volta a disvelare e mettere in discussione il rapporto tra strutture di potere e tattiche di resistenza dell’underground”.
OLTRE IL GENERE
Dopo l’esperienza di Royalize, progetto nato parallelamente ai Casino Royale, e influenzato dall’esplosione delle sonorità drum’n’bass londinesi, Backwords travalica completamente il concetto di genere, in favore di una combinazione di ripetizione e stratificazione, dove synth analogici, batterie elettroniche, beat nervosi e distorsioni magnetiche danno forma a un universo allucinogeno, che deve tanto al dub sperimentale quanto alla techno futurista dei pionieri dei synth modulari. “Sono sempre stato affascinato dalla ripetizione, che è il concetto portante del minimalismo americano, tanto quanto di molta musica da club”, continua il musicista. “La ripetizione non è mai il ritorno dell’identico, al contrario è una mutazione progressiva, che interviene sulla percezione fino all’estraniamento. In ‘Tre’ ho cercato da un lato di dilatarla riconducendola a un automatismo, dall’altro di combinarla con delle sequenze che avessero tempi diversi, per creare maggiore complessità”.
BACKWORDS – Arpoon from OOH-sounds on Vimeo.
TRA SUONO E MATERIA
Così si passa dall’altalenante giro di basso, gli archi “strecciati” e le distorsioni vocali di Wait!, al basso acid a cui si uniscono elementi di sintesi granulare e voci sintetiche di PasDesChance, ispirato dall’ascolto prolungato di Chance of Rain di Laurel Halo, al rumore meccanico reverberato di un pianoforte, in Post-Rider, registrato in una chiesa di Los Angeles, che fu il rifugio di Chávez, ai due movimenti di Arpoon, vero e proprio singolo dell’album, dove un riff di batteria elettronica, realizzato con una Roland 808, funge da incipit a un pezzo che da astratto e meditativo vira verso sonorità più club e techno. Ed è proprio attraverso Arpoon che la potenza comunicativa della parola si fa immagine. L’oro, elemento simbolico ed evocativo, che caratterizza il cut out stencil della copertina del disco, riconnette suono e materia, astrazione e fisicità nel video diretto da IncepBOY, uno dei tanti alias con cui Michele si firma. Superfici leggere e metalliche, mosse dal vento, diventano un’esperienza ipnotica, in un continuo alternarsi di layer bidimensionali e proiezioni di fotografie “trafugate” dal web su un corpo fluttuante nel buio, restituendo l’idea di campionamento e commistione linguistica che è alla base del disco.
Carlotta Petracci
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati