Musica. La techno ambientale di Kangding Ray
Il sesto album del produttore francese, di stanza a Berlino e architetto di formazione, è un trittico sui tre stadi del desiderio e sulla tensione tra naturale e artificiale, tipica dell’elettronica.
L’alba del domani sarà ancora desiderio. Potremmo sintetizzare in questo modo la riflessione che percorre l’ultimo album di David Letellier aka Kangding Ray, Hyper Opal Mantis, uscito lo scorso 24 febbraio su Stroboscopic Artefacts. Se è vero che alle soglie degli Anni Duemila Ugo Volli assegnava al desiderio un ruolo di primo ordine all’interno del sistema economico capitalista, caratterizzato da un’incessante accelerazione, la motivazione appare piuttosto semplice: il desiderio è il motore dell’esperienza umana, tanto quanto del suo potenziale immaginifico. Se è vero che esso implica alterità e cambiamento, per la sua natura squisitamente “sovversiva”, che nega la realtà effettuale in favore di “un potrebbe essere più soddisfacente” – “il desiderio non tende a qualche cosa di esistente nel mondo, ma si riferisce rigorosamente ad altro” (Ugo Volli, Figure del desiderio. Corpo, testo, mancanza, Raffaello Cortina Editore, pag.22) –, allora potremmo dire che attraverso questa forma passionale di pensiero, che trae ispirazione dal concetto di “mancanza” e dalla persistenza della corporeità, si realizzi quella dialettica tra naturale e artificiale che da sempre contraddistingue la storia dell’uomo.
FUTURO E DESIDERIO
Il futuro è necessariamente “futuribile”? Kangding Ray risponde no: “Come non sono interessato a un ritorno alla pura naturalità, ritengo che il futuro non debba essere per forza guidato dal principio dell’artificialità. Continueremo a essere animali ed esseri umani guidati dal desiderio”. Il leitmotiv della musica techno è il rapporto tra uomo e macchina, naturale e artificiale, corpo e mente, tanto quanto la compresenza di una dimensione emozionale e viscerale, espressa dal ballo e dal clubbing, e di un immaginario ipermoderno e futuristico (spesso distopico), richiamato dalla tecnologia. Non esiste infatti un’unica forma di desiderio: per cui la nostra tensione verso il futuro può accompagnarsi al primordialismo, in una sorta di compressione spazio-temporale e degli universi, che nel mondo del cinema è stata espressa in maniera prodigiosa dalla scena delle scimmie di fronte al monolite nero di 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick. Il desiderio dunque fa parte della natura dell’uomo sin dall’origine. Oltrepassando il più concreto concetto di bisogno, è un oggetto misterioso, una sorta di boomerang lanciato verso l’Altrove, che torna a noi come appetito e ricerca del piacere, ma anche del sapere.
TRE TAPPE
In Hyper Opal Mantis, Kangding Ray definisce tre stadi di questo percorso, che appaiono più come tre interpretazioni, che rappresentano altrettanti insiemi di tracce all’interno dell’album. “Hyper è l’istinto primario, quello riconducibile alla sensualità; Opal è la domanda di amore, quella che determina la catarsi emotiva; Mantis è la forza distruttiva e fatale, perché l’amore e la sensualità possono condurre anche alla distruzione”. Indubbiamente non c’è alcun aspetto confortante nel desiderio, anzi si tratta di una tensione piuttosto inquieta, che però ha “la capacità di produrre mondi possibili” (Ibid. pag.66). Ed è così che, per esempio, in Lone Pyramids, Ray (probabilmente in virtù dei suoi studi in architettura) immagina un nugolo di piramidi solitarie trasposte in un universo virtuale, facendo nascere una traccia da una suggestione visiva, in cui la perfezione matematica di una civiltà estinta incontra l’algida e ubiqua “finzione” del calcolo computazionale, dando forma a un paesaggio d’invenzione (nell’immaginazione di chi scrive vagamente riconducibile ad Immortal Ad Vitam di Enki Bilal), da abitare seguendo il ritmo di una techno più ambientale.
– Carlotta Petracci
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati