La musica dopo l’11 settembre. William Basinski a Milano
Nella chiesa di Milano che dal 1997 ospita permanentemente l'ultima opera dell'artista minimalista Dan Flavin, è andato in scena lo scorso 17 maggio il live del compositore e musicista statunitense noto per la sua serie di album di detriti sonori, la cui registrazione si concluse a New York proprio l’11 settembre 2001.
All’interno di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa a Milano, il capo e gli occhi continuano a oscillare senza tregua, dal cielo all’abside. Al centro del tabernacolo, William Basinski, uno dei nomi più prestigiosi della musica sperimentale e della sound art degli ultimi trent’anni, intona la sua Cascade, in occasione dell’evento presentato da Basemental e Threes. La volta si tinge di lilla, nell’installazione luminosa permanente dell’artista minimalista americano Dan Flavin, all’interno dell’architettura di Giovanni Muzio, progettata negli Anni ’30. Nelle ultime file il chiacchiericcio accompagna la performance. Lasciarsi andare non è immediato, ma forse è proprio questa la condizione ottimale. Too Much Heaven è il titolo di una vecchia canzone che improvvisamente si manifesta, insieme al nudo e crudo realismo del pane inzuppato nel vino, ne Il diario di un curato di campagna di Robert Bresson. Non si può elevare lo spirito, senza passare attraverso la concretezza delle cose, sottolinea Paul Schrader ne Il trascendente nel cinema. Un messaggio che riecheggia nella mente come una rivelazione. Scricchiolii, bisbiglii, risolini, calpestii, cigolii, sono una distrazione che funziona da macchina del tempo, accendendo l’immaginazione di un alacre attivismo lontano. Vi siete mai domandati come rumoreggiasse la vita prima dello schianto?
UN CROLLO OSSESSIVO
La storia artistica di William Basinski è concettualmente e iconograficamente inscindibile da quel giorno, da quel lontano 11 settembre, con il suo crollo ossessivamente reiterato nelle televisioni di tutto il mondo. I Disintegration Loops non sono altro che la metaforica dispersione di detriti sonori nell’aria di una tragedia, un crollo materiale, un disfacimento simbolico del potere, una riflessione, a partire dall’intangibilità della musica, sulla spiritualità della disintegrazione e della caduta. Non a caso è attraverso la concretezza del nastro magnetico che il compositore e musicista statunitense riesce a dare forma a paesaggi sonori impressionisti ed elegiaci, dove loop, field recording, frasi di pianoforte e lentissimi micro-movimenti si addensano, inseguono e distanziano per ore, suggerendo il ricordo dell’incanto commovente delle composizioni di Arvo Pärt, e contemporaneamente, l’atmosfera meditativa e la fragilità emotiva della musica ambient. Il 17 maggio un soffio metafisico ha percorso le navate di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa, mentre oro, rosa, verde, lilla, azzurro e blu illuminavano i nostri occhi, lucidi come biglie, pesanti e rivolti verso l’Altrove, come quelli della Giovanna d’Arco di Dreyer, di un sentimento di grazia e pietà.
– Carlotta Petracci
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