Computer World. I Kraftwerk alle OGR di Torino
Tra gli otto concerti andati in scena per quattro sere consecutive nell'architettura post-industriale delle Officine Grandi Riparazioni, nell’ambito di Club To Club, a Torino, abbiamo scelto quello dedicato all’ottavo album dei Kraftwerk, del 1981. Seguito da un best of degli altri dischi.
“Corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro” (Friedrich Wilhelm Nietzsche, Dei dispregiatori del corpo). Vi siete mai domandati quale sia la sede dell’intelligenza? Quando nel 1956, negli Stati Uniti, nacque l’Intelligenza Artificiale, il riduzionismo algoritmico la immaginava simile a un software, una sottospecie di cervello disincarnato, di cui venivano valorizzati esclusivamente gli aspetti razionali. In una forma lo abbiamo conosciuto come computer, affascinante e temibile, basti pensare ad HAL 9000 di 2001: Odissea nello Spazio. Ma non ci volle molto per capire che la differenza con gli esseri umani era rappresentata da un di più, da un’interfaccia senziente che consentiva l’immersione nell’ambiente: il corpo. Così nacquero i robot, quel grande feticcio che in Germania molti anni prima aveva assunto sembianze femminili in Metropolis di Fritz Lang. Oggi il mood tecnologico è talmente pervasivo che queste riflessioni appaiono come la preistoria della scienza e della fantascienza. Eppure di mezzo ci siamo noi e il nostro rapporto con le macchine, tra fordismo e post-fordismo, computer age, sonde spaziali e bomba atomica, e anche quel treno lanciato sulla folla che fu l’inizio del cinema, grazie ai fratelli Lumière.
UN LIVE DA RICORDARE
Trovarsi alle Officine Grandi Riparazioni di Torino, di fronte a quegli uomini-robot che l’immaginario collettivo riconosce come i Kraftwerk, è stato come ripercorrere in un paio d’ore il nostro eterno viaggio nell’Alterità. Parlare di musica non basterebbe per raccontare quella volontà di conquista che ci ha spinto verso l’infinitamente grande, il Cosmo, e l’infinitamente piccolo, il silicio. O per comprendere il significato di quelli che chiamiamo media-mondo, in cui rientra a pieno titolo lo spettacolo 3D degli otto album di The Catalogue, debutto esclusivo italiano nell’ambito di Club To Club. Quale città, in Italia, poteva essere la più adatta a ospitare i pionieri dell’elettronica se non Torino, che nelle macchine ha intravisto presente, passato e futuro dell’umanità? Il nome del gruppo di Düsseldorf è paradigmatico, “kraft” sta per energia e “werk” identifica il lavoro. La civiltà industriale è il punto di partenza di questa continua trasformazione, in cui noise e club si incontrano originando quello che è stato definito “robot-pop”. La cultura del consumo segue a ruota, nella danza di insegne luminose della metropoli virtuale di Neon Lights, che ricorda vagamente Blade Runner. È con un chiaro orientamento alla contemporaneità che abbiamo scelto, tra gli otto concerti, Computer World, seguito da una serie di classici (tra cui Neon Lights tratto da The Man-Machine del 1978) degli altri album. Il corpo disseminato in rete, come doppio virtuale o voce disincarnata, trova infatti una sua radice nell’elettrocardiogramma policromo di Computer Love, simbolo della dimensione affettiva, non solo delle macchine, ma che ci lega alla computer age. Alla sinfonia dei motori di Autobahn, l’album della svolta identitaria, Computer World oppone la ripetizione ossessiva di suoni e voci sintetiche, in un non-luogo di numeri che anticipa le discese esplorative di Neuromante, Matrix e il World Wide Web. Con Pocket Calculator, dove una gigantesca calcolatrice troneggia su un abbagliante giallo accompagnato da ideogrammi giapponesi, entriamo sentimentalmente nella retromania, recuperando anche l’entusiasmo geek del famoso quartiere di Tokyo, Akihabara, l’epicentro degli otaku, dei fanatici di manga, anime e chincaglierie tecnologiche. È con Radioactivity, tratto da Radio-Activity del 1975, che la memoria ci traghetta invece verso un altro “orientalismo”. L’aggressività dei colori, giallo e rosso, della simbologia e l’intermittenza della parola Hiroshima rappresentano un ammonimento: la deriva più brutale del credo nella tecnica.
EMBLEMI DELLA MULTIMEDIALITÀ
Muovendosi con maestria tra Stockhausen, i Beach Boys, James Brown e il punk, e influenzati dell’estetica del Bauhaus, i Kraftwerk sono l’emblema della multimedialità, con la loro celebrazione della modernità e dell’alienazione che si nasconde dietro la gioia e la fiducia nella tecnologia. The Man Machine è il momento visivamente più alto di tutto il live, con il suo dichiarato omaggio al costruttivismo russo, la ripetizione in diagonale della parola “machine”, accompagna dallo statement “semi-human being”, il suo gigantismo su un accecante rosso che irradia al di fuori del palco nell’architettura post-industriale delle OGR, alimentando la teatralità. Non è da meno Electric Café, che ipnotizza attraverso un graphic design optical. Con Planet Of Visions, invece, ci addentriamo in un organismo verde fosforescente, costituito da una tessitura che si muove fluida rievocando le visualizzazioni curve di uno spazio multidimensionale, che sono entrate a far parte del linguaggio contemporaneo della fisica. Si tratta di visioni elettriche, che attraverso la musica elettronica riconnettono Detroit alla Germania. Le luci si spengono su Techno Pop, con simboli della notazione musicale che si disperdono tridimensionalmente nello spazio, mentre sul palco i corpi esistono solo attraverso la divisa della griglia, in un mondo che abbandona la realtà per la simulazione.
‒ Carlotta Petracci
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