Tra musica e teatro. Teho Teardo ed Elio Germano intrepretano Céline
Sabato 28 aprile al Teatro Comunale di Teramo è approdata la rivisitazione del romanzo “Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinand Céline, messa in scena dall’attore Elio Germano e dal musicista Teho Teardo. Lo spettacolo calca i palchi dei teatri italiani dal 2012 per restituire frammenti del nonsense celiniano e una caustica visione della vita ancora attuali. Ecco il report.
Nella sala del Teatro Comunale di Teramo, non il solito pubblico da concerto: docenti e appassionati lettori accorrono per una rappresentazione in cui gli effetti dell’elettronica manipolata da Teho Teardo, la sua chitarra visionaria e un duo di strumenti classici comporranno la colonna sonora del romanzo Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline, messa in scena dall’attore Elio Germano e dal musicista originario di Pordenone.
Alle 21 si spengono le luci e sul palco si stagliano nel buio Teardo e Germano accompagnati da Ambra Chiara Michelangeli alla viola ed Elena De Stabile al violino. La voce di Germano parla di un viaggio, recita il prologo del romanzo: “Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario… Va dalla vita alla morte”; Germano interpreta Bardamu, il protagonista che, nel suo lucido delirio, enuncia sarcastiche verità mentre discute con Arthur, testimone incredulo del suo arruolamento in guerra quando, in un accesso di patriottismo, Bardamu segue il reggimento francese che proprio in quel momento si trovava a calcare le strade di Place Clichy. È la prima di una serie di gaffe che Bardamu mette in atto nel suo “eterno partire” del romanzo – di sicuro la più fatale – per dire addio a situazioni “statiche” e nel tentativo di darsi un senso, una direzione. Così viene scaraventato nel cuore di una guerra la cui ragione cercherà negli occhi di ogni uomo e donna che incontra, senza trovarne conforto.
LA NEGAZIONE DADAISTA
Il tono di Germano è secco, distorto quando dà voce agli imboniti aforismi della borghesia benestante. La musica fa raramente da background alle parole, ma diviene interpretazione in altra chiave del testo di Céline, dà coesione agli stralci di testo scelti e interpretati da Germano. Di tanto in tanto l’elettronica entra in punta di piedi nella recitazione per annunciare la musica: testi e suoni si alternano senza soluzione di continuità e ciò assegna importanza ai momenti sonori che rendono concreto il mood evocato da Céline riempiendo i puntini di sospensione di cui il libro è ricco, quella sospensione di senso che ha contraddistinto il periodo storico della Grande Guerra.
La chitarra di Teardo è il contrappunto musicale alla voce di Germano, oscilla fra il nonsenso del noise, che sfiora un approccio dadaista, e riff più semplici e diretti. Violino e viola innalzano un tappeto lirico e struggente, custodi di un’armonia ancora possibile, che interpreta la tragedia della guerra nelle sue pieghe più intime e reali.
Perché quando parliamo di Céline, di questo libro in particolare, non possiamo soffermarci solamente sul pessimismo di cui è tacciato il protagonista – in fondo Bardamu nutre ancora speranza nell’amore, poiché ne è in costante ricerca – ma è possibile ravvisare la negazione dadaista (è in quegli anni che Dada prende vita nella Zurigo neutrale) che si delinea nel rifiuto di una logica comune – l’accettazione della guerra e delle sue ingenti perdite umane, anche da parte della stessa madre di Bardamu, rassegnata a perdere il figlio per la buona causa della patria offesa – nella decostruzione della prosa che assume la concretezza del linguaggio parlato e nell’annichilimento dell’uomo nel costante sottolineare i suoi aspetti più abietti e la miseria della carne.
BARBARIE SENZA LOGICA
Le parole di Germano tornano a distorcersi, divengono puri significanti carichi di stati d’animo perché in fondo la barbarie non ha logica alcuna: si risponde a Dada distruggendo Dada e i valori borghesi che hanno portato alla guerra, e il linguaggio è uno di questi.
Il beat elettronico interrompe il flusso di coscienza, reclama il suo spazio, innalza uno schema narrativo, che tende a perdersi nella prolifica visionarietà di Bardamu, di cui violino e viola mantengono il filo.
Nel finale recitazione e musica si fondono per descrivere ogni uomo, protagonista della guerra e del lungo viaggio annunciato in partenza: “L’uomo che serve a creare una smorfia che mette una vita a confezionarsi… Queste ondate incessanti di esseri inutili che vengono dal fondo dei tempi a morire incessantemente davanti a noi” e, con il pensiero, non si può che tornare al principio: “È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia”, eppure è una storia che è già stata scritta.
‒ Martina Lolli
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