Musica e Internet, tra erotismo e violenza. Intervista a Patrick Higgins
Il 26 marzo Club to Club dedica una serata al Teatro Carignano di Torino a Nicolas Jaar e alla sua etichetta Other People. Tra i musicisti c'è il chitarrista e producer newyorkese che suona alcuni pezzi del suo ultimo LP sui risvolti politici del digitale. Lo abbiamo intervistato
Uscito il primo giugno 2018 sulla Other People di Nicolas Jaar, Dossier, l’ultimo album solista del chitarrista e producer newyorkese Patrick Higgins, racconta attraverso il linguaggio della musica di un mondo digitale dove politica, erotismo e violenza si incontrano e scontrano. Lo abbiamo intervistato per conoscerlo più da vicino.
Dossier affronta il tema del mondo digitale, focalizzando l’attenzione sulla sua dimensione erotica e violenta. Perché?
Internet nasce come una piattaforma in cui pubblicare, scambiarsi idee e comunicare. In parte ha subito un processo di privatizzazione perché è diventato il canale privilegiato per vendere prodotti. Facebook e Instagram si sono trasformati in una vetrina per pubblicizzare se stessi. Da un lato c’è questa enfasi posta sulla visibilità e sul rendere pubblico parte del proprio privato, dall’altro c’è il discorso delle relazioni invisibili, di ciò che si condivide dietro la superficie. Mi interessava realizzare un pezzo di musica con questa struttura, dando l’idea di navigare attraverso questa mappa di relazioni nascoste.
Come nasce il suo nome?
Il dossier è prima di tutto un file che racchiude un insieme di informazioni relative a una persona. La partecipazione all’universo di relazioni sociali ed economiche in rete, costituisce un dossier. Ma c’è anche una ragione politica. Quando Trump fu eletto Presidente, cominciarono a circolare delle voci secondo cui il governo russo avesse un dossier su di lui, contenente informazioni che potessero incriminarlo.
Le quattro tracce dell’album costituiscono quattro pezzi distinti o rappresentano diversi movimenti di un unico pezzo?
Il disco è stato concepito come quarantacinque minuti di musica in quattro movimenti. Quindi si tratta di un singolo lavoro, ma credo che le tracce possano funzionare anche in maniera distinta.
Dove l’hai registrato?
A Future Past, il mio studio a New York.
Quando hai iniziato a suonare la chitarra o ti sei avvicinato alla musica classica contemporanea?
Ho cominciato a fare musica da molto giovane, a studiare pianoforte intorno ai sette anni e a nove-dieci sono passato alla chitarra. Quand’ero bambino suonavo musica punk-rock e quando sono andato alle scuole superiori ho cominciato a studiare jazz in maniera molto seria, pur continuando a suonare punk e hardcore. Il jazz ha influenzato il mio modo di suonare pezzi più underground. Quando sono andato al college ho sviluppato un interesse nei confronti della musica d’avanguardia e della classica contemporanea, è stato un modo per riconciliare il mio background jazz e punk-rock.
Chi sono i tuoi “eroi” musicali?
Tutti coloro che hanno cercato di combattere il conformismo nel loro tempo, come Bach o Beethoven, che oggi percepiamo come classici, ma che hanno guardato molto avanti rispetto ai loro contemporanei. Un altro importante riferimento sono gli ultimi lavori di John Coltrane che ha ispirato un’intera generazione di musicisti e il movimento free jazz e spiritual jazz. In generale gli artisti che mi affascinano sono quelli che cercano sempre di superare i limiti, di forzare sé stessi nel mettere in discussione ciò che è accettato.
Tra i contemporanei?
Tra quelli importanti per il mio percorso metterei l’ungherese György Ligeti, Maryanne Amacher, Paoline Oliveros, anche la scuola viennese che ruota intorno ad Arnold Schoenberg e i suoi primi discepoli tra cui Anton Webern e Alban Berg.
Musica e cinema. Come vedi questo incontro?
Nel realizzare una colonna sonora penso che l’aspetto più interessante per un musicista che lo faccia in maniera episodica, quindi non come lavoro, sia lo stesso che si prova di fronte a una performance multimediale. Avere l’opportunità di mettere a frutto le proprie conoscenze e la propria visione, per supportare un progetto narrativo. Allo stesso tempo, può essere un’occasione per mettere da parte il background di studi, le ambizioni relative allo stile e tutto il tecnicismo che normalmente riveste una grande importanza in una perfomance live, lasciando emergere l’espressività. Per me realizzare una colonna sonora ha a che fare con questo doppio legame, tra il compositore e il regista.
Pensi che la musica possa essere narrativa?
Assolutamente sì, credo però lo faccia diversamente rispetto alla forma narrativa tradizionale. La musica invita l’ascoltatore a entrare in un mondo e tempo specifici, provocando una sorta di space-shifting, che sospende il tempo della vita quotidiana. Due o tre minuti di musica possono accendere la fantasia dell’ascoltatore o provocare in lui un’intensa esperienza mentale e fisica. L’esperienza narrativa che si fa attraverso la musica è più libera, meno prescrittiva di quella che si può fare attraverso la letteratura o il cinema. La musica ha un modo di narrare più aperto e che conduce a un’avventura più soggettiva.
-Carlotta Petracci
http://www.patrickhigginsmusic.com
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