La musica, il ballo e la cultura LGBTQ* (I). Il clubbing seventies a New York
Come, quando e perché è nato il fenomeno del clubbing? Breve storia di un fenomeno che non ha riguardato soltanto la musica, ma ha investito molti altri ambiti, fino a mutare la società nel suo complesso. Un discorso valido anche per il voguing, che affonda le sue radici nel cinema muto e nelle riviste patinate. (Non cercate una nota a quell’asterisco nel titolo: sta indicare le altre, eventuali, innumerevoli forme in cui si può declinare l’identità di genere).
“Eravamo alla fine degli Anni Settanta e ovunque c’era un gran fermento. La recessione, le file interminabili ai distributori, la crisi degli ostaggi in Iran. Ripensandoci, è incredibile quanti ricordi affiorino. È come se fossero delle istantanee della vita di qualcun altro. Al centro della quale c’era sempre lo stesso uomo. Un certo Steve Rubell aveva un sogno: organizzare la più grande festa che si fosse mai vista e farla durare in eterno”. A parlare è Shane (Matthew Ryan Phillippe), il protagonista di 54, il film diretto nel 1998 da Mark Christopher, che racconta l’ascesa, la fortuna e la crisi definitiva dello Studio 54 e dell’era della disco music. Le limousine, le celebrità, gli eccessi, la sovraesposizione mediatica hanno il loro epicentro – dal 1977 – nel cuore del Broadway Theatre District e sono solo la punta dell’iceberg di una trasformazione più sotterranea e di lungo periodo che riguarda la vita notturna della Grande Mela.
IL LOFT PER ANTONOMASIA
Bisogna scendere verso downtown Manhattan e risalire qualche anno indietro, quando nel 1970 David Mancuso inizia a organizzare party clandestini su invito nel proprio loft. Love Saves the Day, questo è il loro nome, che racchiude un’ispirazione e una visione così grandi da trasformare in brevissimo tempo quell’appartamento, ricavato in una delle innumerevoli fabbriche abbandonate di New York, nel Loft. Il primo di una serie di venue, tra cui il Paradise Garage e il Sound Factory, fondamentali per comprendere lo sviluppo della cultura dance all’interno dell’underground gay. Un fenomeno unico, che prende le distanze dal circuito dei locali esclusivamente queer, perché coinvolge un pubblico multietnico, più fluido rispetto ai generi e all’orientamento sessuale. E contribuisce alla creazione della mitologia dei dj, figure chiave della dance culture, lanciando nomi del calibro di Larry Levan, Frankie Knuckles (che, con la successiva consacrazione al Warehouse di Chicago, negli Anni Ottanta diventa “The Godfather of House Music”), David Morales, Nicky Siano e lo stesso Mancuso. Considerato un “musical messiah” per aver introdotto quell’idea di musica come energia collettiva, corporea, erotica che si traduce nel ballo e nel movimento; per aver assegnato una nuova centralità al suono attraverso la realizzazione di potenti e sofisticati sound system; per aver dato spazio a una musica più ricercata e orientata al ritmo; per aver inventato una situazione completamente nuova, che tra gli Anni Settanta e Ottanta ha ispirato i più influenti dj e proprietari di club.
UN MUTAMENTO SOCIALE
Il Loft è uno spazio privato, lontano dagli occhi e dai soprusi della polizia, dove non si vendono alcolici ma si fa largo uso di droghe per favorire quella dimensione di viaggio mentale e ricerca spirituale che la musica ispira. Raccoglie una comunità di “orfani”, come forse a posteriori piace dipingerla, non solo per la storia personale di David Mancuso – i cui ricordi vanno alla stanza delle feste di Sister Alicia, gremita di palloncini colorati, da cui mutua l’idea dei suoi party – ma anche perché le comunità che si raccolgono intorno alla musica sono un sostituto della famiglia tradizionale, esattamente come le House all’interno della ballroom scene.
Si tratta di una trasformazione sociale importante, che va di pari passo con la crisi del sistema patriarcale, con il ritorno della centralità del concetto di comunità rispetto a quello di società e con la condizione di ricerca, da parte dell’individuo all’interno della metropoli, di persone simili a lui, non solo unite dallo stesso stile di vita, ma dal medesimo complesso di valori, gusti, cultura e anche problemi.
Diversi anni dopo sarà il Paradise Garage a far evolvere questa filosofia, diventando il punto di riferimento, a partire dal 1977, della popolazione gay di colore e iconizzando Larry Levan come inventore dello stile garage house. È però sempre il Loft negli Anni Ottanta a fare da apripista per l’intersezione tra clubbing e voguing, una sottocultura nata all’interno della comunità queer di colore, che troverà spazio, oltre la strada, in club come il Red Zone, il Sound Factory, il Latin Quarter e l’Escuelita.
‒ Carlotta Petracci
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #51
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