Monophonie, un album tra arte ed elettronica. Intervista a Phillip Sollmann
“Monophonie” è un album composto con strumenti fuori dal comune, tra cui le sculture sonore di Harry Bertoia. Ne abbiamo parlato con il suo autore, DJ e producer tedesco Phillip Sollmann.
Composto nel 2016, presentato in anteprima al teatro Volksbühne di Berlino nel 2017 e successivamente alla Ruhrtriennale e Kampnagel di Amburgo, Monophonie non è semplicemente un album, ma un progetto artistico e di ricerca, in cui il musicista, DJ e producer tedesco Phillip Sollmann (Kassel, 1974), combinando gli strumenti storici di Hermann von Helmholtz con quelli microtonali autoprogettati da Harry Partch e con le sculture sonore metalliche di Harry Bertoia, senza dimenticare il proprio approccio elettronico alla musica, dà vita a un universo sonoro guidato dai poliritmi e psichedelico nell’esperienza. L’album è uscito il 15 maggio sulla A-TON.
INTERVISTA A PHILLIP SOLLMANN
Oltre a essere un producer e DJ di musica elettronica, quand’eri molto giovane ti sei formato come violoncellista. Quali esperienze nel corso della tua vita e della tua carriera ti hanno reso il musicista che sei?
È vero. Ho imparato a suonare il violoncello da bambino, poi sono passato alla chitarra elettrica e alla fine al computer e ai campionatori. La mia musica risente molto dell’ascolto degli ambienti e della Natura. Mia madre si sorprendeva sempre quando affermavo cose del tipo: “This train has a nice tuning”, oppure “I don’t like the sound of this room”. Dopo aver suonato in gruppi post-rock e studiato sociologia ad Amburgo, ho frequentato Computer Music and Electronic Media all’Università della Musica di Vienna.
Parlando del tuo approccio minimalista, quali sono stati i musicisti di riferimento per il suo sviluppo?
Uno dei miei eroi è senza dubbio Alvin Lucier, il compositore americano che meglio ha saputo percorrere il confine che separa suono e arte concettuale. Lavorando con fenomeni acustici e setting molto semplici è riuscito a ottenere risultati sorprendenti. Un’altra influenza importante è stata Laurie Spiegel, per il suo contributo alle riflessioni teoriche sulle strutture e i pattern. Citerei poi la prima e la seconda ondata dei compositori che hanno lavorato sulla musica microtonale: La Monte Young, Tony Conrad, Terry Riley, Phill Niblock, Arnold Dreyblatt, Kyle Gann eD Ellen Fullman, che ha inventato l’incredibile ‘Strumento a corde lunghe’. Dal mondo della EDM menzionerei Jeff Mills, Robert Hood, Luke Slater, Damon Wild e così via. Dietrich Buxtehude, Johann Sebastian Bach e Giacinto Scelsi sono altri riferimenti. Non dimenticherei Robert Ashley. Mentre per quanto riguarda l’improvvisazione includerei Evan Parker, Fred Frith, Hans Reichel. Si tratta comunque di una piccola parte dei compositori e musicisti che hanno avuto un impatto su di me.
Passiamo a Monophonie, il tuo ultimo album come Phillip Sollmann, appena uscito per la A-TON. Per approfondire dobbiamo risalire al 2016 quando è stato composto. Mentre l’anno seguente ha avuto un’anteprima al teatro Volksbühne di Berlino. Com’è cominciata quest’avventura e perché?
Ho sempre sognato di scrivere musica per gli strumenti di Harry Partch, che sono molto particolari sia da un punto di vista acustico che visivo. Ero a conoscenza del fatto che l’Ensemble Musikfabrik suonava la sua musica con le repliche degli strumenti originali. Così gli ho proposto una collaborazione. La loro reazione positiva mi ha spinto immediatamente a scrivere musica. Per aggiungere uno spettro armonico e acustico differente, ho introdotto le sculture autoprodotte di Harry Bertoia e la doppia sirena di Hermann von Helmholtz, realizzando di fatto un incontro transcontinentale postumo di tre personaggi molto diversi tra loro, che però si sono occupati di acustica, tuning system e della costruzione di strumenti.
Trovare metodi non convenzionali per generare i suoni è una pratica che riveste un’inedita centralità nella tua esplorazione. Vorrei approfondire questa riflessione in relazione all’utilizzo degli strumenti in Monophonie.
Ho cercato di utilizzare gli strumenti acustici suonati a mano di Harry Partch seguendo il mio approccio, che risente dell’ascolto della musica elettronica. Si tratta di strumenti con un suono assolutamente unico, caldo e fluttuante, capace di trasportarti altrove. Le sculture di Harry Bertoia invece aggiungono un comportamento acustico differente, perché sono costituite da aste di metallo, che quando vengono toccate continuano a suonare per svariati minuti, introducendo una dimensione aleatoria ulteriore al brano. Una progressione casuale naturale.
Ascoltando l’album mi pare di aver individuato tre elementi ricorrenti ‒ la poliritmia, l’oscillazione e il suono della sirena ‒ che definiscono la sua identità. Suppongo che la scelta degli strumenti sia la chiave per ottenere questo risultato. Perché hai scelto proprio questi suoni e come li hai fatti incontrare nelle diverse tracce?
La poliritmia è assolutamente centrale, hai ragione. Volevo creare un organismo complesso ma piacevole, che fosse il risultato delle qualità specifiche e delle possibilità offerte dagli strumenti. Oltre all’aspetto ritmico però anche quello tonale è importante, soprattutto in relazione agli strumenti di Harry Partch. La sirena invece è stata usata una volta sola, nell’ultima traccia, suonata da me. Ha un suono fluttuante e psichedelico, grazie al frequente cambiamento di pitch. Non avevo molta esperienza pratica nel suo utilizzo, ma è stato illuminante e travolgente suonare uno strumento che ha solo otto notte e che viene azionato dal vento.
Perché hai scelto di lavorare sulla microtonalità?
La musica e gli strumenti di Harry Partch utilizzano uno specifico sistema di accordatura, che lui ha sviluppato negli anni. Questa è la ragione del loro suono molto peculiare. Quindi non ho avuto scelta, ho potuto solo lavorare seguendo la logica microtonale di Partch. Una sperimentazione che mi ha aiutato a espandere la mia conoscenza in questo campo, tanto che continuo a utilizzare questo approccio (anche senza i suoi strumenti) nella mia musica ancora oggi.
Trovo che la dimensione del viaggio mentale, dell’immaginazione, sia una caratteristica di Monophonie. Percorre tutto l’album, ma è particolarmente evidente in due tracce: Motor e Mono.
Mi fa piacere sentirtelo dire! Perché era proprio questo l’intento. Motor è la traccia più complessa, quella che cerca di collegare il primo minimalismo e la drone music degli Anni Sessanta agli algoritmi poliritmici, facendoti viaggiare.
‒ Carlotta Petracci
Link acquisto album su Bandcamp: https://a-ton.bandcamp.com/album/monophonie
http://phillip-sollmann.de/
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