Quando la bellezza è musica. Intervista a Boosta
“Voglio creare bellezza e riuscire a dare un suono a tutto”. Davide Boosta Dileo si racconta in attesa dell’uscita del suo nuovo album.
All’Anfiteatro romano di Fiesole tira ancora il vento caldo di un’estate che vuol restare. Dentro la sua forma a ferro di cavallo, stretto in un abbraccio ideale, c’è Davide “Boosta” Dileo, che al centro, tra le luci del palco e quelle a stella di un cielo chiaro, pare chiudere un cerchio magico, fatto di sonorità intime e pensieri intonati in un silenzio assordante.
Boostology è un tour che scrive la colonna sonora strumentale di chi ascolta, in un cammino a due tra pianoforte ed elettronica. Il sentiero è quello della musica contemporanea del Novecento, con i fondamentali del suo repertorio pianistico e alcuni brani in anteprima del nuovo album Facile. È invece difficile disegnare il contorno di un artista poliedrico con una carriera ventennale. Tastierista e co-fondatore dei Subsonica, musicista, dj, compositore, autore e produttore, ma anche conduttore televisivo, scrittore e pilota. Prima di tutto animo gentile, poeta delicato di sentimenti potenti.
INTERVISTA A BOOSTA
Lasciare aperta sul tavolo la valigetta dei colori, perché ognuno possa dipingere i suoi pensieri come gli pare. È come se durante il tuo ultimo concerto ti fossi calato in una dimensione totalmente altruistica: la musica è un foglio bianco, le note/colori ve le metto a disposizione, il disegno lo fate voi.
Sarebbe falsa umiltà credere di farlo solo per il prossimo, la verità è che mi riempie sapere le persone felici. Probabilmente è una forma acuta di egoismo, ma le offro indulgenza perché alla fine porta felicità a tutti: a chi è sul palco e a chi ascolta. In questo credo, perché la musica dal vivo l’ho sempre vissuta così. So bene cosa significa andare a dormire completamente realizzato perché hai fatto bene quel che ami. E so cosa significa dormire male per aver preso dei soldi senza aver dato nulla o poco, ché poi la percezione soggettiva è difficilmente opponibile. Questo concerto è una collana di musica senza ipocrisia. Sono io, con le mie capacità e le mie aspettative, felice di poterle condividere, perché questa è una parte che sto scoprendo sempre più a fondo. È forse il solo posto in cui mi sento perfettamente vivo. Un film senza immagini, nel quale ognuno è libero di usare le proprie. Perché la musica è, per definizione, uno strumento. Amplifica, allena, attutisce, protegge e cura. Se è vero che tutto ha un suono, questo è il suono del mio silenzio.
Basta poco a ritrovare la magia, ad accorgersi della meraviglia. È “facile” come il tuo nuovo disco in uscita a fine ottobre, colonna sonora strumentale di pensieri.
Ne avevo bisogno. Ho maturato il pensiero di voler scrivere sempre meglio, così mi sono sgravato dall’ansia di classifica e di popolarità, maturando la convinzione che la musica sia un’esigenza. Questo è un passo, non il primo, non l’ultimo, ma è saldo, fondamentale. Faccio musica perché non posso fare altro, l’amo. Pochi giorni fa, visitando una mostra a Torino, mi sono imbattuto in un segno: ero andato per vedere le foto di Helmut Newton e in una stanza, sottoterra, c’era una piccola retrospettiva su un compositore e artista fiorentino del movimento Fluxus: Giuseppe Chiari. Mi ha illuminato di gioia. Tra le sue opere, quella a parete che mi ha accolto è stata una sequenza di quadri e lettere che insieme formavano una frase: “la musica è facile”.
È più rigenerante il silenzio assordante o un disco di Bacharach?
Non c’è niente che abbia un suono più bello del silenzio, anche perché non esiste. Il silenzio è un contenitore perfetto, ogni silenzio suona diverso. Ed è un esercizio di attenzione frugarci dentro per trovare quello che nasconde.
Volare, con la sua prospettiva, ridimensiona oggettivamente la realtà. Tenere fisicamente la testa tra le nuvole, per un creativo, dev’essere una gran cosa. Davide diventa pilota quando al mattino si sveglia con quale stato d’animo?
Quando vede le montagne. La corona delle Alpi è una filo di montagne al collo dell’Italia. L’ho percorsa mille volte, mi piace tantissimo. Da camera mia si staglia nitida o fumosa, quando la vedo penso sempre, subito, che vorrei andarla a trovare.
LA STORIA DI BOOSTA
Hai condiviso o condivideresti quest’esperienza con qualcuno, oppure è soltanto da solo che ne trovi il giusto senso?
Preferisco volare da solo. È come fare arti marziali senza bisogno del contatto, ma con tutto il codice di disciplina, attenzione e focalizzazione. So anche che non volerò sempre, ma è stato uno strumento che mi ha dato lezioni importanti. Probabilmente lo affiancherò ad altri, o magari verrà lasciato indietro. Non ho paura che si chiudano i cicli della vita, anzi. Sono un grande appassionato, ne collezionerei a tonnellate.
Tu sei un “raccontastorie”, che si tratti di note o righe di parole tra le pagine di un libro. Quali sono le situazioni che ti fanno fermare ad ascoltare o a lasciarti guardare?
Tutto, perché il racconto ha bisogno di energia, è come alimentarsi. Non si può certo essere in perfetta salute mangiando solo una cosa. Mi piace il bello, il brutto, l’inutile, il fantastico, il quotidiano, lo straordinario. Non butto niente di quello che vedo. Sarebbe una bugia dire che mi interessa tutto e mi interessano tutti, ma di certo sono un appassionato di vita, qualunque essa sia, se posso, sbircio.
Ci sono delle caratteristiche dei tuoi genitori che riconosci ben delineate adesso in te?
Diverse, e riconoscerle serve a definire se stessi in maniera ancora più profonda. Siamo sempre il frutto di quel che abbiamo avuto. L’imprinting è calcificato e riconoscerlo diventa una pedina fondamentale nello sviluppo della personalità.
Le stesse che vorresti arrivassero alle tue figlie?
Ho il sogno che siano in grado di disegnarsi la vita come la desiderano. Io mi occupo, e mi preoccupo, di dare loro strumenti per immaginare i sogni più grandi. Per loro stesse, per le persone che avranno accanto. Il regalo più prezioso e delicato è la possibilità.
ARTE E MUSICA SECONDO BOOSTA
Quanto è importante la contaminazione tra arte e musica?
Non è importante, è già così, è un dato. La musica è stata una delle prime forme d’arte, è uno strumento d’arte, elemento inscindibile. Non ho mai visto il senso nel compartimentare un grande insieme come quello dell’espressione.
E se dovessi scegliere un artista che con i suoi colori ben ti rappresenta?
Escher e Magritte, senza dubbio.
Torino, la tua città: magica e malinconica. Raffinata, colta ed elegante. Un po’ come la tua musica. Come ti ci senti dentro?
L’amo, non la venero. Mi piacerebbe un giorno poter vivere altrove, in tanti “altrove” e avere la possibilità di tornarci sempre per riprendermela. Ecco, così sarebbe perfetto.
Un altro posto nel mondo che ti somiglia qual è?
L’Islanda e Pantelleria, isole, che bruciano di lava, terre emerse con violenza. Lontane, scomode, accoglienti solo se ti accettano e le accetti.
“Il futuro è la benzina del presente”, hai detto. Oltre al nuovo disco, quali sono i progetti per il prossimo anno?
Crescere, come uomo, come artista. E più nel concreto, coltivare questo lato della mia musica, riprendere la vita con i Subsonica. Dare vita a un collettivo nel quale la priorità è creare bellezza (se poi possa essere condivisa, questo è tutto un altro discorso). Sfruttare fino all’esaurimento questo desiderio di dare un suono a tutto. Non per tutti, ma un suono a tutto, sì.
‒ Ginevra Barbetti
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