Walk of Muses#27: Craig Leon e Ian Ottaway
Il nuovo appuntamento con Walk of Muses, rubrica di Samantha Stella dove la musica incontra l’arte, presenta il ritratto del compositore statunitense Craig Leon e del songwriter statunitense Ian Ottaway.
Craig Leon (Miami, 1952) è un produttore discografico, compositore e arrangiatore di origine americana che vive in Inghilterra. Con una formazione in musica classica in tastiere, composizione e musicologia, è stato responsabile della scoperta, tra gli altri, dei Ramones e dei Talking Heads, ha prodotto i primi dischi di Blondie, Richard Hell & The Voidoids e Suicide. Trasferitosi nel Regno Unito, è stato attivo con numerose hit in classifica. Molto attento anche alla musica contemporanea, ha collaborato con importanti compagnie di danza e il Los Angeles Museum of Contemporary Art. Ha prodotto progetti classici in collaborazione tra gli altri con The London Symphony Orchestra e Vienna Radio Symphony Orchestra, un disco su musiche del cinema italiano che include anche una performance di Luciano Pavarotti, importanti trasmissioni televisive e si è esibito in numerosi festival e palchi negli Stati Uniti e in Europa.
La tua definizione di arte.
Per me “arte” è l’atto in cui noi creature umane creiamo un oggetto tangibile che evoca principi estetici e provoca contemplazione e pensiero fuori dal comune. L’arte è uno sforzo consapevole per superare i confini temporali della nostra esistenza fornendo un’immagine duratura di un pensiero o di un’immagine che ci ha ispirato. Per me, la più alta forma d’arte è quella che stimola l’estasi o trasporta l’osservatore in un’altra realtà. L’arte non è necessariamente bella. A volte può ugualmente fornire un senso di orrore o repulsione.
La tua definizione di musica.
Un’opera d’arte non si limita a essere semplicemente qualcosa di visivo. Lavorare nella musica come mezzo non è diverso dal lavorare nella scultura o nella pittura. Le idee astratte o programmatiche vengono formate con strumenti e regole specifici applicati per trasformarle in un lavoro coeso. Mi ritengo assolutamente fortunato a essere stato autorizzato dagli dei a creare immagini e realtà alternative usando la musica.
Ti definisci un “artista”?
Non mi sono mai etichettato o definito “un qualsiasi cosa”, ma forse altri l’hanno fatto. Dalle definizioni di cui sopra, immagino che la risposta sia “sì”.
L’opera di arte visiva che più ami.
Quello che è appeso nel mio studio, che si chiama Quello che avrei dovuto fare non ho fatto (La porta) di un artista americano di nome Ivan Albright. Nei suoi ultimi anni lo andavo a trovare nel suo studio che era vicino al mio, era anziano e malato ma dipingeva ancora, come Beethoven che vinceva la sua sordità, anche quando era sopraffatto dalla cecità crescente. Era ossessionato dalla creazione come tutti noi. Trovo che quest’opera sia fonte di ispirazione, sia per ciò che evoca emotivamente, sia perché mi ricorda ciò che deve essere fatto ogni giorno e la sua motivazione.
PAROLA A IAN OTTAWAY
Ian Ottaway è un songwriter e cantante americano cresciuto a Wichita, nel Kansas, per poi spostarsi in varie città tra Kansas City, Hollywood, San Francisco, Arizona, Londra e Berlino. Ha collaborato con le sue parole e poesie con la band americana di rock alternativo Black Rebel Motorcycle Club, con il chitarrista blues-folk francese Tio Manuel, con la band brasiliana The Poppers, gli americani indie rock Black Swan Lane e il musicista americano con base in Austria Matt Boroff, che ha prodotto e co-scritto il nuovo album di Ottaway uscito quest’autunno. Scritto a Berlino poco dopo la morte di suo padre e di tre dei suoi migliori amici, l’album si muove tra rock’n’roll, trip hop, elettronica, e goth. In due brani appaiono anche gli americani Mark Lanegan, cantante famoso per il suo apporto al grunge, e Joe Cardamone, ex The Icarus Line.
La tua definizione di arte.
Penso che l’arte sia qualcosa che suscita una reazione emotiva dentro di noi. Il fallo, i fianchi delle donne, le Corvette, il dolore intessuto sul volto di una donna anziana. Tutta la Creazione è arte. Le amicizie sono un’opera d’arte. Il linguaggio segreto dell’amore. Albert Speer, Peter Saville, Jeunet, Lagerfeld, il marketing di un brand, le sigarette di seta Furongwang Blue e Kubrik.
La tua definizione di musica.
Suono che suscita lo spirito dell’emozione. Preferisco una certa tenerezza e amo anche lo sfarzo e la sessualità del pop moderno. Desidero i paesaggi cinematografici. Preferisco il synth alla chitarra thrash. Adoro il ghost twang, la canzone Twilight Time, Britney Spears, Blackstar, Lanegan, CAS, Cave, Peaches e ovviamente l’Opera italiana. I miei gusti musicali sono la colonna sonora della mia vita.
Ti definisci un “artista”?
Sì, sono il prodotto degli ultimi giorni del sporco rock’n’roll di Hollywood, funerali e donne streghe. Non sono per tutti. Gli amanti degli animali, le gemme rare e i malati di mente sono i miei più grandi fan.
L’opera di arte visiva che più ami.
Le stampe floreali di Susie Bick e Gucci, i denti e le dita di Michèle Lamy, Kiss Me Kiss Me di Tracey Emin, il neon Cover My Body In Love, il film Neon Demon e Weeping Woman di Vincent Van Gogh.
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‒ Samantha Stella
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Walk of Muses #5: Marissa Nadler e The Third Sound
Walk of Muses #6: Andrea Liberovici e Squadra Omega
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