Nasce a Bologna XONG la nuova etichetta del festival Xing. Esordio con Jacopo Benassi e Kinkaleri
Si chiama Once More la nuova creatura firmata da Jacopo Benassi e Kinkaleri, primo step della nuova etichetta firmata Xing. Intervista a Silvia Fanti, direttrice di Xing
Esce in questi giorni Once More del raggruppamento performativo Kinkaleri con l’artista e fotografo Jacopo Benassi, primo disco d’artista della collana XONG, prodotta da Xing, in un interessante progetto di produzione dell’organizzazione bolognese che sfida, con prospettive transdisciplinari, ad attivare ascolti e visioni inediti nel panorama contemporaneo. XONG è una label che invita personalità italiane e non, legate al mondo delle live art, ad attraversare e incidere lo “spazio del disco”, inteso come luogo e contesto su cui performare, facendo del gesto sonico un’espansione dei confini del performativo. La prima uscita del progetto, nata su vinile bianco in edizione limitata e numerata, accompagnata da un booklet di foto di Jacopo Benassi, rappresenta l’incontro tra due artisti irriverenti, che alimentano la loro ricerca e la loro ispirazione negli ambienti sonori dell’hardcore, del punk e del noise, in un display concertistico dove corpo, suono, parole e live photo sono assunti come elementi imprevedibili della composizione. In attesa del prossimo oggetto di culto, Martellate. Scritti fighi 1990-2020, raccolta di scritte dell’artista Marcello Maloberti lette da Lydia Mancinelli, attrice, compagna di scena e di vita di Carmelo Bene, abbiamo intervistato Silvia Fanti, direttrice artistica di Xing con Daniele Gasparinetti.
Come nasce il progetto e come la vostra ricerca declina la relazione tra corpo e suono?
In venti anni di attività Xing ha sempre attraversato i linguaggi, le pratiche, testando varie piattaforme espressive. Suono e corpo non possono prescindere dallo spazio/ambiente e dalla relazione: parlando di un’esperienza artistica dobbiamo sempre tener conto del contesto, delle condizioni, del medium. E le live arts sono in ogni caso ‘soniche’, anche quando vivono immerse nel silenzio: il silenzio suona, lo spazio suona e il rapporto ri-suona. Non esiste in natura il non-suono. La separazione fisica del primo COVID nella primavera 2021, ha esaltato la forza del suono, che si è sovrapposto alla coazione schermica, alla dittatura della visione. Oltretutto questa sfera dell’ascolto si è rivelata come una piattaforma creativa gestita con abilità da performer e artisti legati alle live arts (penso agli esperimenti radiofonici di Radio India, ad esempio, che sono stati vissuti quasi come una liberazione creativa, piuttosto che un ripiego). Nasce così l’idea di andare a fondo su questa pista, aprendo una label come ulteriore piattaforma di Xing, e di produrre degli oggetti (il disco) che fossero una ‘solidificazione del gesto’. Gesto inteso come segno, tracciato da artisti che praticano da tempo le live arts.
Come avete scelto i primi artisti che hanno partecipato a Xong e in che modo hanno lavorato?
Abbiamo stilato da subito una listadi autori che volevamo coinvolgere nel progetto, tenendo conto del loro potenziale. In effetti, la mappatura delineata, che voleva privilegiare un approccio produttivo diverso, ci ha riportati ‘a casa’: sono tutti artisti con cui abbiamo avuto varie occasioni di collaborare nel tempo. I primi artisti che usciranno erano semplicemente quelli che avevano già delle ricerche in corso e che non attendevano altro che una spinta realizzativa.
Quali sono le prime uscite?
ONCE MORE di Kinkaleri e Jacopo Benassi, MARTELLATE. SCRITTI FIGHI 1990-2020. LYDIA MANCINELLI LEGGE MARCELLO MALOBERTI. Escono molto ravvicinati nel tempo per dare un’idea della varietà di output sonori. Seguiranno LIVRE D’IMAGES SANS IMAGES di Mette Edvardsen, e stiamo dialogando con Zapruder, Michele Rizzo, Alessandro Bosetti, Mattin, Stine Janvin e Ula Sickle, Michele Di Stefano, Silvia Costa, Francesco Cavaliere e altri. Nessuno dei progetti finora prodotti nasce in uno studio di registrazione, ma è determinato da una occasionalità, che abbiamo rilanciato e rilavorato assieme agli artisti. È l’elemento che distingue questi lavori da produzioni più tradizionalmente radiofoniche: non appartengono neanche all’approccio documentaristico (o documentale).
Sapete già cosa accadrà?
Marcello Maloberti e Lydia Mancinelli hanno collaborato per la prima volta in occasione della mostra d’apertura del MACRO a Roma: l’incontro tra queste due personalità che incrociano diverse prospettive e percorsi d’avanguardia ci è sembrato molto forte. Mancinelli legge ‘a voce scritta’ le MARTELLATE, una raccolta di frammenti impulsivi scritti nel corso di venti anni da Maloberti. Rocambolescamente la registrazione originaria è avvenuta su una nave da crociera. Il disco di Kinkaleri e Jacopo Benassi nasce da un display concertistico dove corpo, suono, parole e live-photo erano assunti come elementi imprevedibili della composizione. In questo secondo caso c’era una forte centralità dell’improvvisazione sonora. Il lavoro di Mette Edvardsen nasce da una scelta di integrazione drammaturgica all’interno dello spazio scenico, della presenza di un disco che suona, e che sarà possibile portarsi a casa. In questo caso il vinile bianco diventa un libro senza immagini.
E gli Zapruder?
Con loro si tratterà di accogliere su disco i materiali sonori prodotti nel corso dei set performativi e cinematografici della nuova opera. Le tipologie delle produzioni e del rapporto con i performer coinvolti sono molte e variegate. Seguono effettivamente le loro inclinazioni creative, e ci sembra bello mantenere questa varietà. Dal punto di vista dell’ascoltatore quindi Xong non è ancorato a un unico sound o genere musicale.
XONG è un’etichetta che esplora lo “spazio del disco”, come fenomeno sonico e come oggetto fisico. “Uno spazio su cui performare”, un materiale su cui incidere un segno. Quale forma assume il supporto, e in che modo la distribuzione identifica un nuovo mercato e un territorio di diffusione?
La scelta del disco come supporto che implica una fisicità, un’affezione per la ritualità dell’ascolto, e non del CD o altri formati digitali sul web -come l’onnipresente streaming-, non è casuale. La collana è su vinile bianco, con un design non invadente ma preciso, che collega le uscite (la costa degli album ricomporrà cromaticamente il logo della label). La cover è un’immagine dell’artista. La tiratura di ciascun disco è limitata a 150 copie, di cui una trentina sono edizioni speciali – pezzi unici o multipli – pensati anche per il collezionismo d’arte.
E la distribuzione?
I dischi saranno distribuiti nei circuiti della musica di ricerca e dell’arte. Abbiamo cercato dei partner sensibili alla sperimentazione. I principali retailer per la vendita sono Soundohm (mail order) e Flash Art (collector’s editions), affiancati da alcuni negozi di dischi e bookshop selezionati (Hangar Bicocca a Milano, MODO a Bologna, MACRO a Roma, Todo Modo a Firenze, o bruno a Venezia…). Ci piace scommettere sull’incrocio tra pubblici e ambienti di ricezione diversi. Questa operazione editoriale di ‘espansione’ delle live arts è un progetto unico nel suo genere, anche se si è in qualche modo ispirata all’eccezionalità italiana degli anni ’70 e ’80, dallo spoken word alla radiofonia sperimentale, la poesia sonora, Fluxus e il teatro delle neo-avanguardie (vedi i dischi di Edizioni Lotta Poetica, alla collana RADIO TAXI, o agli LP dei Magazzini Criminali…).
L’attraversamento disciplinare oggi può essere inteso come una forma di ecologia produttiva? E Xong può essere inteso come una mappatura e un’invocazione ecosistemica degli universi che attraversano le live arts?
Si. L’ambizione è quella di disegnare nuovi contorni per produrre una diversa comprensione del performativo, delle live arts, e del loro potenziale. Xong è una collana che parla del presente, ma che procede a comporre anche un archivio, storicizzando personalità (di cui molte italiane) che praticano l’arte in modo trasversale. Nell’insieme colleziona una serie di creazioni che, sedimentandosi a ogni uscita, costituiscono una rassegna a lungo termine. Siamo curiosi di vedere l’impatto. A oggi abbiamo avuto un riscontro caloroso sul progetto da parte di molti. Resta invece spiacevole vedere la resistenza a comprendere le trasformazioni in atto nelle live arts, da parte delle istituzioni che governano in Italia. Non è puntando sulla Netflix della cultura che si salvano le arti dal vivo. Questa ipotesi ha lasciato tutti molto perplessi. In questo senso si tratta di riaffermare tratti di diversità che rischiano di venire estinti da paradigmi dominanti. Produrre per ribadire che certe forme non si sono affatto estinte, ma sono in grado di mutare. Ci sono soggetti che dicono, agiscono e, nonostante tutto, si muovono ancora, in maniera sottile.
In un contesto di invisibilizzazione dei corpi in che modo l’ascolto può assumere una valenza politica?
Sembra che i corpi siano tutt’altro che invisibili. Anzi siamo trattati prevalentemente come corpi. Nella pandemia non c’è più il corpo di ciascuno, ma un grande corpo fatto di corpi: un corpo sociale, attraversato da sonde statistiche. L’ascolto, in generale, può avere una valenza politica in quanto pratica dell’attenzione, di espansione del desiderio di presenza, di sottrazione al predominio organizzato dell’occhio. Forse in un momento di passaggio come questo riesce ad accogliere ciò che di informato e transitante c’è nella nostra coscienza, un modo laterale per non essere sottoposti tutti alla stessa ‘cura’.
-Chiara Pirri e Maria Paola Zedda
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