Cremona, Parma, Urbino. Così riparte la musica antica
Un reportage da tre festival di musica antica e barocca, che segnano il ritorno sulla scena di rassegne dedicate a un genere particolarmente seguito.
Nell’ambito della generale ripresa dell’attività concertistica e operistica, sono tornati anche gli appuntamenti con la musica antica e barocca, nella forma di festival o di singoli spettacoli. Abbiamo seguito tre significativi momenti del ritorno sui palchi e sulle scene della musica risalente all’ampio periodo che va dal Medioevo al Settecento: tre capitoli che, pur molto diversi tra loro, risultano accomunati dalla serietà e dall’alto livello qualitativo delle proposte.
– Fabrizio Federici
CREMONA: IL MONTEVERDI FESTIVAL
Cremona è tornata a celebrare uno dei suoi figli più illustri con il Monteverdi Festival, che si è svolto dal 18 al 26 giugno (abbiamo assistito agli spettacoli degli ultimi quattro giorni della rassegna). Tutta la città è stata coinvolta in questo omaggio: sagome del divino Claudio Monteverdi facevano capolino in parecchi angoli del centro, piccoli concerti e letture delle lettere del compositore conducevano alla scoperta di suggestivi spazi meno noti, bravissimi madrigalisti hanno intonato brani di Monteverdi in luoghi e contesti inaspettati (ad esempio nell’atrio della stazione ferroviaria, travestiti da turisti). Vi sono poi stati gli appuntamenti di maggior rilievo, a cominciare dall’Orfeo, nella ripresa di una produzione del Teatro Ponchielli del 2007, con la regia del sovrintendente e direttore artistico del teatro Andrea Cigni. L’orchestra e il coro del festival, sotto la direzione di Antonio Greco, hanno fornito un’ottima prova, così come i cantanti, e in primis quella sicurezza che è Mauro Borgioni, nel ruolo principale, e Roberta Mameli e Giuseppina Bridelli, impegnate rispettivamente nei doppi ruoli della Musica e di Proserpina e della Messaggera e della Speranza.
Uno spettacolo che cattura e commuove lo spettatore senza ricorrere a trovate a effetto, ma ponendosi umilmente al servizio della “favola pastorale” monteverdiana, esattamente come la musica del compositore si mette al servizio del testo, per esaltarne la portata concettuale ed emotiva. Più ambizioso, e meno riuscito, il dittico costituito dal Ballo delle ingrate e dal Combattimento di Tancredi e Clorinda: non per la parte musicale, anche in questo caso eccellente (l’ensemble Il pomo d’oro era diretta da Francesco Corti; ottime le voci, con una particolare menzione per il Testo del Combattimento, Raffaele Giordani); quanto per la messa in scena, concepita dal collettivo Anagoor.
Il “fondale video” del regista Simone Derai rappresenta un elemento troppo ingombrante (i video si impongono su quanto avviene sulla scena e confondono lo spettatore; alla lunga, l’unica soluzione per concentrarsi sull’hic et nunc del “recitar cantando” è ignorarli); al contrario, quanto accade in scena è fin troppo minimale (e, nel caso del Ballo, ai limiti dello sciatto: i personaggi cantano in tuta da ginnastica). Il risultato è una sorta di non voluta messa in scena in forma di concerto, in cui dal vivo avviene ben poco (nessuno balla davvero nel Ballo, ad esempio) e l’azione, rallentata ed estenuante, scorre sull’enorme schermo.
Ha concluso il festival uno Jakub Jòzef Orliński in stato di grazia che, ottimamente accompagnato da Il pomo d’oro, ha proposto una selezione di brani tratti dalla sua ultima fatica discografica, il CD Erato che reca il non felicissimo titolo di Facce d’amore (brani cui si è aggiunto un doveroso e gradito omaggio a Monteverdi, “E pur io torno” dall’Incoronazione di Poppea). Così come nel CD, nel suo recital cremonese il controtenore polacco ha passato in rassegna un secolo e mezzo di opera barocca, evidenziando le diverse sfaccettature della passione amorosa (il languido abbandono, il tormento, la rabbia). Senza nulla togliere al disco, Orliński va visto e ascoltato dal vivo: a una voce sempre sicura e precisa, duttilissima, si accompagnano una prestanza fisica e una mimica accentuata, al limite della sbruffonaggine, che contribuiscono a fare di questo celebrato cantante un vero e proprio personaggio. Anzi, l’edizione aggiornata, perfettamente credibile, del divo dei palcoscenici di epoca barocca, in cui si fondono Farinelli e James Dean.
PARMA: IL TRIONFO DI HÄNDEL
A Parma è andato in scena, il 26 e il 28 giugno, nel meraviglioso spazio della basilica di San Giovanni Evangelista, uno degli esiti più ragguardevoli del soggiorno romano del giovane Georg Friedrich Händel, l’oratorio Il trionfo del Tempo e del Disinganno, composto nel 1707 su libretto del cardinale Benedetto Pamphilj. Lo spettacolo è stato prodotto da quella straordinaria realtà, per certi versi anomala nel panorama italiano, che è la Fondazione Teatro Due, e all’orchestra ospitata in residenza dalla fondazione parmigiana, l’Europa Galante di Fabio Biondi, è spettato il compito (egregiamente svolto) di far risuonare la partitura händeliana e di accompagnare un cast di voci di tutto rispetto (Francesca Lombardi Mazzulli nel ruolo della Bellezza, Arianna Rinaldi nelle vesti del Piacere, Francesco Marsiglia nei panni del Tempo e una magnetica Vivica Genaux nel ruolo del Disinganno). La messa in scena è in forma di concerto, o meglio semiscenica: rimandano a una dimensione teatrale i movimenti dei cantanti, i loro ricchi costumi, il grande specchio con cornice dorata che si interpone tra il palco e l’altar maggiore (e che allude ai temi dell’oratorio, la vanità della bellezza e dei beni terreni), le luci utilizzate con sapienza a sottolineare le diverse atmosfere (bellissima la conclusione dello spettacolo, in cui una luce fredda, celestiale, illumina la redenta Bellezza che intona la celebre aria “Tu del Ciel ministro eletto”, accompagnata dal violino solista di Biondi) e a coinvolgere nella rappresentazione l’architettura e i sovrastanti affreschi di Correggio. Perfetta, in questo senso, la scelta di allestire lo spettacolo nella basilica di San Giovanni, le cui pitture e i cui ori forniscono un contesto ideale per una composizione come l’oratorio, a mezza via tra sacro e teatro. È vero tuttavia che, come spesso (ma non sempre) succede, il vasto spazio ecclesiale ha un’acustica insoddisfacente: di certo, in un teatro o in una sala da concerto, le finezze interpretative di cantanti e strumentisti sarebbero state più adeguatamente valorizzate e fruite.
URBINO MUSICA ANTICA 2021
Nell’ultima settimana di luglio Urbino si è trasformata, come avviene ormai da molti anni, nella capitale italiana della musica antica. Ai corsi di formazione e specializzazione promossi dalla Fima (Fondazione Italiana per la Musica Antica), che, giunti alla 53esima edizione, vantano il primato di essere, tra i corsi di specializzazione nel campo dell’esecuzione della musica antica e barocca attualmente in funzione, i più longevi al mondo, si è affiancato come di consueto il festival, sotto la direzione artistica di Alessandro Quarta. Così, per alcuni giorni, la città-corte di Federico da Montefeltro è stata tutta un risuonare di cembali, liuti e voci umane, provenienti dalle aule in cui si svolgevano i corsi, dalle chiese che hanno ospitato i concerti degli allievi, dall’iconico cortile di Palazzo Ducale e dal Salone Raffaello, nei quali hanno avuto luogo i concerti. I bellissimi concerti (abbiamo visto quelli delle ultime quattro giornate del festival, dal 28 al 31 luglio): in particolare, i giovani dell’ensemble MusiCanti Potestatis hanno proposto, con straordinaria naturalezza ed efficacia, un’interessante scelta di danze e ballate del Trecento italiano, mentre il concerto di chiusura, affidato all’ensemble vocale e strumentale della Fima diretto con la consueta verve dal maestro Quarta, ha condotto l’ascoltatore in un’affascinante passeggiata per la Roma del Seicento, che ha avuto le sue tappe principali in due oratori di Giacomo Carissimi, Balthazar ed Ezechias. Sempre la Roma barocca, ma di qualche decennio dopo, è stata la protagonista del recital di Mauro Borgioni, dedicato a rare cantate composte per il principe Francesco Maria Marescotti Ruspoli: il baritono ha fornito una conferma delle sue qualità vocali e delle sue doti interpretative. Interamente dedicato alle sonate per violino e cembalo di Johann Sebastian Bach è stato il concerto di Boris Begelman e Rinaldo Alessandrini, in cui in particolare il violinista russo ha incantato il pubblico con il suo suono caldo e potente e la sua tecnica ineccepibile. Assolutamente trascinante, infine, l’esibizione dell’ensemble Zefiro che non solo ha proposto un bellissimo itinerario attraverso la musica da camera per fiati del Settecento europeo, ma ha anche divertito il pubblico, con una serie di battute e gag. A dimostrare che la musica antica è sì oggetto di scrupoloso studio filologico e terreno di applicazione di somme abilità esecutive, ma è pure un complesso organismo in grado di suscitare nell’ascoltatore tutta una serie di reazioni emotive, non escluse fragorose risate.
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