È tornato il C2C Festival. Come sono andate le serate a Torino e Milano
Terminata la frenesia dell’art week torinese, facciamo il punto su passato e presente del famoso festival di musica elettronica. Una riflessione sull’edizione digitale dell’anno scorso e i report delle recenti serate alle OGR di Torino e al Fabrique di Milano
Non potevano che esserci i riflettori puntati su C2C Festival (Club To Club) durante la consueta settimana dell’arte contemporanea torinese. Per due motivi: da un lato l’annuncio della nuova edizione aveva suscitato curiosità, sia per la volontà di ripartire immediatamente sia per la difficoltà nel farlo in tempi così stretti, dall’altro il tentativo di sondare la strada del digitale durante la pandemia aveva raccolto i consensi dei più affezionati e fatto sgranare le pupille ai più lungimiranti.
Sì, perché non si è trattato solo di musica. La novità introdotta dall’organizzazione – l’anno scorso ‒, ovvero un evento da remoto, che il pubblico avrebbe visto in condizioni molto variegate, pur restando a casa, dal computer, dal cellulare, dalla televisione, ha rivoluzionato il concetto di performance, ponendosi in un’ottica audiovisiva. Attraverso uno schermo, il contenuto non è stato più esclusivamente la musica, e la regia del festival è andata oltre la sua organizzazione. Oltre il palco, il suono, le luci, l’entusiasmo delle persone. Durante quella che potremmo definire una autentica reclusione, le emozioni più convulse, contraddittorie, quelle cariche di languore, i pensieri più intensi nei confronti delle persone lontane hanno avuto un colore: il rosso; un movimento: le onde; una colonna sonora: To Be Banned From Rome di Bienoise.
C0C –IL FESTIVAL COME PERFORMANCE
Nonostante la voglia di tornare a ballare, ritrovarsi insieme, dedicare tempo all’ascolto di artisti che della commistione tra pop e avanguardia hanno fatto una cifra stilistica e distintiva della contemporaneità, la realtà che abbiamo “risucchiato” dallo schermo ha avuto un impatto psicologico profondo. Così quando il 5 novembre scorso abbiamo varcato la soglia delle Officine Grandi Riparazioni, per una delle quattro serate di C0C – The Festival As Performance, stesso nome del progetto digitale per identificare un intermedio cambio di passo, la prima sensazione è stata di spaesamento. Quella dimensione raccolta, accogliente, dell’esperienza solitaria ma connessa svaniva ancora una volta di fronte al gigantismo degli spazi, alla capienza dimezzata, e alla ritualità del palco, spettacolare ma distante. Forse un po’ di delusione. Non per ciò che di lì a poco avremmo vissuto, ma per la consapevolezza che, una volta sopraggiunta la normalità, ci sarebbe sfuggita (forse per sempre?) quell’interiorità vivida, e saremmo tornati a guardare e ascoltare il mondo dall’esterno.
C2C FESTIVAL: LA SERATA INTERNAZIONALE ALLE OGR DI TORINO
Mancata per un soffio Beatrice Dillon (unica nota dolente in giornate frenetiche), sono stati Koreless, Ripatti e Bill Kouligas a traghettarci durante la serata, che si è conclusa ballando, seguendo un crescendo: dalle atmosfere fantascientifiche del producer gallese all’energia con cui il “veterano” finlandese ha letteralmente “ucciso” il dancefloor. C’è da dire che entrambi presentavano due uscite che non sono passate inosservate nel 2021: Agor e Fun Is Not A Straight Line, quest’ultimo un inaspettato debutto su Planet Mu di Sasu Ripatti, anche conosciuto come Vladislav Delay e Luomo, con una personalissima interpretazione del footwork, arricchita dai suoi ascolti hip hop e dalla sua visionaria capacità di decostruzione.
C2C FESTIVAL: STONE ISLANDS PRESENTS MILANO AL FABRIQUE
Questo ritorno non è stato però un’esperienza isolata. Dopo soli cinque giorni, il 10 novembre, con Stone Islands Presents Milano ci siamo ritrovati al Fabrique sempre in compagnia di C2C Festival.
Anche questa collaborazione rappresenta un fiore all’occhiello dell’avventurosa ricerca sonora e della capacità di ideare nuovi format del festival torinese, o meglio, dell’Associazione Culturale XPLOSIVA. Dagli eventi al sound negli store, la musica sta viaggiando su tutte le reti, dal locale al globale. Se a fine serata ci ha accompagnato Kode9, dobbiamo assolutamente menzionare il live di Arooj Aftab, compositrice pakistana che vive a Brooklyn, nel cui lavoro si armonizzano tradizione araba, canti sufi e influenze jazz, new age e folk, e quello dei Sons Of Kemet, progetto nu-jazz (ma la definizione per questo caleidoscopio sonoro è decisamente riduttiva) del sassofonista e clarinettista Shabaka Hutchings, che riporta alla memoria il rosso, se vogliamo recuperare visivamente la copertina di un’altra uscita molto interessante (considerata da molti già un nuovo classico) dell’anno: Black To The Future. Ravvivando, con molta urgenza e frenesia sul palco, il sublime rapporto tra musica e spiritualità nera.
‒ Carlotta Petracci
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