Musica techno, arte e rivoluzioni sociali. Mostra al Museion a Bolzano
Ritmi incalzanti e club ricavati in capannoni industriali, tribù urbane sfuggenti e internazionali, gruppi di persone che si uniscono per il tempo di una notte nell’ebrezza spersonalizzante della musica, umano e tecnologico sintetizzati in un mix inedito. Questo e molto altro nella mostra allestita al Museion di Bolzano
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La mostra Techno si pone come il primo capitolo del più ampio filone delle Techno Humanities, ambito di ricerca caro al neo-direttore di Museion Bart van der Heide, che in questo progetto iniziale coinvolge l’intero spazio del museo affiancando anche molte iniziative collaterali. L’ambizione della rassegna è prendere spunto da un genere – la Techno appunto – con il suo rito collettivo – il rave – per intavolare un discorso che parli non solo di musica ma soprattutto degli sviluppi odierni della globalizzazione, del sincretismo reale-digitale, dell’ambiguità tra naturale e artificiale che permea l’esperienza contemporanea. Tutto ciò viene fatto attraverso un percorso ciclico (libertà, compressione, esaurimento e ritorno) in cui gli artisti di estrazione internazionale vengono orchestrati lasciando che l’argomento con le sue implicazioni si adatti in modo morbido e non costrittivo alle proposizioni di ciascuno.
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Riccardo Benassi, Morestalgia, 2019. Photo Luca Guadagnini
TECHNO IN MOSTRA A BOLZANO
La musica e il suono, come archeologie contemporanee, sono necessariamente molto presenti, a partire da A possible Archive, inventario audio-archivistico della scena Techno bolzanina, fino alle installazioni di Yuri Pattison, Nkisi, Emeka Ogboh e Riccardo Benassi. Ad apertura e chiusura della mostra si pongono invece gli avatar di Sandra Mujinga e l’acchiappasogni digitale di Karin Ferrari: due lavori in cui sembrano mescolarsi animismo e nuovo mondo virtuale. Meritano una particolare menzione le estasi da rave delle fotografie di Piero Martinello (peccato non sia stata intercettata anche la ricerca ossessiva del recentemente scomparso Samuel Bridi) e le sculture cinetiche di Paul Chan e Mire Lee, il primo ironico nella sua coreografia aleatoria, la seconda drammatica in un’autodistruzione che ricorda con originalità Tinguely. Sung Tieu, con un non-luogo stile McDonald’s, allude sia all’indistinto globale che alla “fame chimica” dei post-concerto, mentre Tishan Hsu presenta diverse opere che creano un riuscito e destabilizzante mix post-umano.
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![Yuri Pattison, sun[set] provisioning, 2019. Courtesy the artist & mother’s tankstation Dublino Londra](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2021/11/Yuri-Pattison-sunset-provisioning-2019.-Courtesy-the-artist-mothers-tankstation-Dublino-Londra-768x1152.jpg)
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RAVE E NON SOLO
Il tutto trova il suo apice nel labirinto gonfiabile di Jan Vorisek dove l’esperienza totalizzante del rave, la sua perdita di orientamento e personalità, può essere in qualche modo sintetizzata dal visitatore.
In questa mostra stimolante la Techno accompagna in maniera significativa i cambiamenti e le contraddizioni della società globale degli ultimi quarant’anni. Dalle aspirazioni di libertà, auto-realizzazione e collettività si passa però rapidamente anche ai danni collaterali – oscuri e inquietanti – di un mondo post-industriale che sembra a tratti esausto.
‒ Gabriele Salvaterra
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