Al Torino Film Festival “Gianni Schicchi: l’opera lirica di Puccini diventa cinema
Al Torino Film Festival debutta l’opera Gianni Schicchi in versione cinematografica diretta da Damiano Michieletto, tra i registi teatrali più interessanti del nostro contemporaneo e amato in tutta Europa
Girato interamente in presa diretta, è un’opera lirica che diventa film. Il Gianni Schicchi di Puccini debutta sul grande schermo al Torino Film Festival con la regia di Damiano Michieletto. Una storia degna della grande commedia all’italiana, qui modernizzata, che lascia grande spazio interpretativo a tutto il cast. Un’operazione artistica molto interessante, chiaro esempio di contaminazione culturale e generazionale. Un film musicale che porta l’opera lirica a un pubblico più ampio e lo fa con grande umiltà e sincerità.
LA STORIA DI GIANNI SCHICCHI
Il ricco mercante e collezionista toscano Buoso Donati, muore improvvisamente a casa sua. Tutti i parenti accorrono per piangerne la scomparsa, ma la loro reale intenzione è capire dove andranno a finire i suoi soldi; dunque, iniziano a mettere a soqquadro la villa alla ricerca del testamento. Una volta trovato, scoprono la tremenda verità: Donati ha lasciato tutti i suoi beni al vicino convento di frati, senza intestare nulla agli avidi parenti. Indecisa su cosa fare, la famiglia decide di affidarsi a Gianni Schicchi, un furbo faccendiere famoso per essere in grado di muoversi con disinvoltura tra i cavilli della legge. Inizialmente Schicchi rifiuta di aiutarli a causa dell’atteggiamento sprezzante che la famiglia Donati, dell’aristocrazia fiorentina, mostra verso di lui. Ma le preghiere della figlia Lauretta, innamorata di Rinuccio, il giovane nipote di Donati, lo spingono a tornare sui suoi passi, soprattutto quando scopre che i due aspettano un figlio. Schicchi decide di escogitare un piano: dal momento che nessuno è ancora a conoscenza della morte del vecchio Buoso Donati, ordina che il cadavere venga nascosto per poterne prendere lui stesso il posto e dettare al notaio un nuovo testamento. I parenti accettano il piano, il cadavere viene nascosto in un frigorifero e ognuno segretamente inizia a corrompere Schicchi per assicurarsi la parte più cospicua di eredità. Fingendosi Buoso Donati, Schicchi declina dinanzi al notaio le ultime volontà e, quando dichiara di lasciare i beni più preziosi al suo “caro, devoto, affezionato amico Gianni Schicchi”, i parenti comprendono la terribile beffa ed esplodono in urla furibonde. Il finto Buoso li caccia dalla casa, divenuta ora di sua esclusiva proprietà, insieme alla figlia Lauretta e Rinuccio.
IL FILM DI MICHIELETTO
“L’idea di fare un film partendo da un’opera non è una novità non è una cosa di per sé nuova. Tanti lo hanno fatto nel passato, a partire anche da Zeffirelli, di fare un film partendo da un libretto”, racconta il regista. “Nel nostro caso direi che ci sono due cose sostanzialmente nuove che sono anche il motivo che mi ha spinto a proporre a Paolo Rossi Pisu di fare questo progetto, questo film. La prima è che è una commedia e io ho scelto volutamente un’opera comica proprio per rilanciare l’idea che l’opera lirica è qualche cosa di vitale, di dinamico, di divertente, di coinvolgente. Tutti aggettivi che quando uno pensa all’opera lirica magari non associa immediatamente. Invece l’opera è qualche cosa di molto brioso, è molto vivace, e quindi la prima scelta è stata quella di fare un film comico, divertente. L’altra questione… fin da subito ho richiesto fosse un film totalmente in presa diretta. Volevo fosse un film in cui i cantanti che sono davanti alla macchina da presa volevo avessero la possibilità di esprimersi come un qualsiasi attore che si esprime davanti alla macchina da presa quindi senza playback, senza filtri, senza costruzioni artificiali. Questo ha messo alla prova il cast in quanto i cantanti non sono abituati ad essere pronti alle 8 di mattina e essere performanti fino alle 6 di sera sul set. Sono stati messi alla prova anche tecnicamente.
IL LAVORO CON I CANTANTI/ATTORI
Continuando il regista: “Oggi c’è proprio una generazione di cantanti che hanno molta cura del loro aspetto e sono fisicamente veramente pronti a tutto nel senso non c’è più lo stereotipo del cantante che si pianta e canta un’aria. C’è proprio invece una generazione di cantanti attori che hanno anche una grande libertà mentale data dal fatto che la musica ti dà anche una sicurezza di quello che devi fare”. E ancora Michieletto: “C’è stato un casting perché è un film, e quindi è stato fondamentale scegliere interpreti con una totale qualità dal punto di vista musicale e che al tempo stesso fossero perfetti per il ruolo che dovevano fare. Con la maggior parte dei cantanti che ho scelto avevo già lavorato o li conoscevo. La scelta è stata fatta sulla felicità, sullo sguardo, sugli occhi, sulla possibilità di reggere un primo piano, sulla possibilità di non atteggiarsi o coprirsi, proteggersi con la musica ma fare in modo che la musica fosse un modo per comunicare delle emozioni, un modo di comunicare una grande intensità emotiva. La cosa particolare di quest’opera rispetto ad altre è il fatto che non ha un protagonista principale. È uno dei motivi per cui anche mi piace. Vive proprio della forza di un ensemble, di un gruppo, e quindi era fondamentale non solo che loro fossero bravi ma che fossero bravi insieme, cioè che fossero bravi ad ascoltarsi, ad avere un rispetto della storia e gli uni degli altri”.
L’ATTUALITÀ DELLE OPERE LIRICHE IN CHIAVE CINEMATOGRAFICA
“Gianni Schicchi è un’opera che si prestava bene, questo è certo. Però se uno prende l’opera, davanti a ogni libretto dice ‘questa è una storia’. Se prendi l’opera originale, è una storia ambientata nel Medioevo, in una stanza, succede tutto in una stanza dove c’è un cadavere, c’è un morto, per cui quanto di più lontano dai io che si può immaginare sia cinematografico. Per cui c’è stato un lavoro di adattamento, che è quello che ho fatto sin dall’inizio: provare ad aprire la storia e a portarla altrove creando delle azioni, delle relazioni. E questo è un procedimento che si può fare con tutte le opere anche quelle che sono apparentemente più lontane dal linguaggio cinematografico. Ci sono tanti altri titoli del repertorio italiano, da Donizetti, Verdi, Rossini che sicuramente si prestano per un racconto cinematografico”.
–Margherita Bordino
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