Patching Circle. La rassegna di Torino tra sperimentazione musicale e do it yourself
Il 5 febbraio inaugura a Torino la terza edizione di Turin Patching Circle, la rassegna interamente dedicata alla sperimentazione musicale e alla condivisione dei propri progetti. Tra incontri, live set e open jam. Abbiamo parlato con il suo ideatore
![Patching Circle. La rassegna di Torino tra sperimentazione musicale e do it yourself](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2022/02/Mo_o-al-festvial-Bitnet01.-Credits-Bitnet-Official-Photo-1024x683.jpg)
Dopo le precedenti due edizioni organizzate nel 2019 – poco prima dell’emergenza sanitaria da Covid-19 –, ritorna a Torino un interessante progetto rivolto espressamente a tutti gli appassionati di live coding e filosofia DIY, Turin Patching Circle. In attesa dell’evento, che si svolgerà presso il Parco del Valentino, abbiamo fatto qualche domanda al suo ideatore, l’artista e musicista Giorgio Alloatti.
![Giorgio Alloatti](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2022/02/Giorgio-Alloatti.jpg)
Giorgio Alloatti
Prima di arrivare a parlare dell’evento che stai curando, ci spieghi brevemente cosa si intende quando si parla di “patching circle”?
I patching circle sono gruppi di persone che si trovano per condividere una “patch”, intesa tanto come programma, software, quanto come un insieme di cavi destinati a creare una composizione, un sistema. Si mostra il proprio lavoro, soprattutto se non ancora ultimato, quello che dagli anglosassoni viene chiamato show and tell. Il Turin Patching Circle è un luogo dove poter creare delle connessioni umane, elettroniche, o un ibrido tra le due. L’idea è quella di portare l’ambiente dei sintetizzatori modulari, il coding in tutte le sue forme (sia il live coding che il creative coding), e l’elettronica do it yourself all’interno di un gruppo, di una cerchia. Molto spesso chi si occupa di un aspetto è interessato anche agli altri mondi, che facilmente si intersecano e si fondono tra loro.
Come mai hai deciso di organizzarne uno a Torino?
Innanzitutto perché è la città dove sono nato e dove vivo, ma soprattutto perché credo che questa città meriti molto di più. Torino è piena di persone che “smanettano” in diversi campi: dall’autocostruzione di circuiti per le più svariate applicazioni audio e/o video ai programmatori a tempo pieno che, una volta arrivati a casa, non vedono l’ora di mettersi al computer per scrivere linee di codice al fine di generare composizioni musicali, ambienti sonori o installazioni artistiche. A Torino si suona sempre e tanto, il numero di musicisti e appassionati è enorme ed è bellissimo vedere come le varie scene si evolvono mescolandosi tra loro.
![Turin Patching Circle 2019. Bunker, Torino](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2022/02/Turin-Patching-Circle-2019.-Bunker-Torino.jpg)
Turin Patching Circle 2019. Bunker, Torino
IL PROGRAMMA DI TURIN PATCHING CIRCLE
Cosa dobbiamo aspettarci da questa iniziativa?
Il TPC deriva dall’esperienza degli ultimi anni del collettivo Audiohacklab ed è da considerarsi come una sorta di spin-off dello stesso. Il 5 febbraio approdiamo per la prima volta all’Imbarchino del Parco del Valentino, un luogo che dopo la sua rinascita ha saputo dare spazio a diverse realtà diversificando le proposte musicali in maniera esemplare, ed è per questo che si è trovato subito in connessione con la filosofia di Turin Patching Circle. Durante gli incontri ci sarà sempre musica, inizieremo alle 19 con una jam aperta gestita dai collettivi Sintetica e Stasis. Dalle 22 in poi ci saranno diversi live set realizzati con sintetizzatori modulari, live coding e device elettronici autocostruiti e non.
La città di Torino è ormai nota per essere un importante punto di riferimento della cultura underground italiana, soprattutto in campo musicale. Quanto ha influito la pandemia sulla scena torinese?
Torino da sempre è stata una città devota alla musica underground: le risorse che puoi trovare, e lo dico da musicista, sono tante e diversificate, è davvero facile incontrare sempre nuove persone con cui connettersi e non solo afk (“away from keyboard”) ma anche in spazi digitali e virtuali che, come nella vita, penetrano all’interno della scena musicale. In generale la pandemia ha influito su tutto e tutti inevitabilmente, io mi ci metto in primis, tante sono le cose che sono cambiate e tante sono le cose che personalmente ho paura di perdere.
Sei attivo sul territorio piemontese da molti anni, ci racconti un po’ del tuo percorso professionale accennando a qualche esperienza passata che reputi fondamentale per la tua formazione artistica?
Ho iniziato nel 2007 producendo musica elettronica e poco tempo dopo mi sono appassionato di sintetizzatori hardware oltre che software, e così dopo varie esperienze con i collettivi Jungle Pride, LFZ, Yellows e Blaspho ho incontrato i ragazzi di Audiohacklab. Da un po’ di tempo sono concentrato sul mio progetto personale, Mo_o, e su altri progetti come Plesetsk e PJP, oltre che su Turin Patching Circle. Il mio percorso è cambiato nel corso degli anni, non mi considero solo un musicista. Mi piace costruire con la musica, che siano strumenti elettronici o elettroacustici, sculture sonore o composizioni musicali. Credo fermamente che questi aspetti debbano fondersi in un’unica entità e, anche se a tratti può essere fuorviante, io mi ci ritrovo molto bene.
‒ Valerio Veneruso
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