Intervista a Jim O’Rourke, superstar del festival Jazz is Dead! di Torino
Ha collaborato con mostri sacri come Werner Herzog e Sonic Youth e ora apre la nuova edizione di Jazz is Dead! a Torino. Lui è Jim O’Rourke e lo abbiamo intervistato
Nonostante l’allusione provocatoria alla morte insita nel suo stesso nome, la rassegna torinese Jazz is Dead! continua a essere più viva che mai. L’ormai imperdibile festival organizzato da TUM (Turin Underground Music), Arci e Magazzino sul Po
giunge, infatti, alla sua sesta edizione, annunciando una line-up da urlo che si allontana trasversalmente da ogni tipo di etichetta. Intitolato Chi sei?, il nuovo capitolo della manifestazione musicale (si) interroga sul concetto di identità coinvolgendo ben 21 formazioni provenienti da 10 Paesi che, dal 21 aprile al 9 giugno, si alterneranno in maniera intermittente sui palchi di quattro luoghi differenti: dai centri culturali CAP10100 e Bunker fino a raggiungere il Cinema Massimo e il Planetario di Torino per gli appuntamenti del 3 e del 9 giugno (rispettivamente dedicati al quintetto afro-futurista Irreversible Entanglements e alla violoncellista guatemalteca Mabe Fratti).
I PROTAGONISTI DELLA NUOVA EDIZIONE DI JAZZ IS DEAD!
Jazz is Dead! si appresta dunque ad allargare la sua offerta pur rimanendo fedele alla formula originale: il tour de force che, dal 26 al 28 maggio – cuore del festival ‒, inonderà la città di Torino con decibel fulminanti e flussi incontrollabili. Ad animare questa intensa tre giorni sarà una rosa di artisti di tutto rispetto. Dai leggendari Boris (storica band giapponese che dai primi Anni Novanta si muove tra sottogeneri musicali come il doom metal, la drone, il noise e il rock psichedelico) fino alle derive elettro-neomelodiche di Nziria, si avrà modo di perdersi in sonorità profonde e accattivanti. Vibrazioni coinvolgenti come quelle proposte dal producer britannico Shackleton, dal super progetto Moin – nato dall’incontro fra il duo inglese Raime e la percussionista Valentina Magaletti – e dall’artista cinese Pan Daijing. Senza nulla togliere all’importanza dei nomi sopracitati, bisogna prendere atto che un posto speciale all’interno della rassegna sarà occupato da Jim O’Rourke (Chicago, 1969), leggendario produttore statunitense di band quali Wilco, Stereolab e Sonic Youth, che il 21 aprile si esibirà per una preview della rassegna al CAP10100 in compagnia della polistrumentista nipponica Eiko Ishibashi, autrice della colonna sonora dell’ultimo film di Ryūsuke Hamaguchi, Drive my car. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.
INTERVISTA A JIM O’ROURKE
Il 21 aprile sarai a Torino, insieme a Eiko Ishibashi, per inaugurare la nuova edizione del festival Jazz is Dead! Puoi anticiparci qualcosa della vostra esibizione?
Solitamente i nostri concerti partono da improvvisazioni nelle quali entrambi utilizziamo dei computer. Di solito Eiko suona anche il flauto e processa tutto dal vivo in maniera tanto digitale quanto analogica, mentre io uso soprattutto un software che ho sviluppato con la workstation Kyma. Da un punto di vista meno tecnico posso dirti che i nostri approcci molto simili alla musica si incontrano con i nostri approcci molto diversi all’improvvisazione, restituendo qualcosa che il più delle volte non suona affatto come improvvisato.
Quella con Eiko è solo una delle numerose collaborazioni che porti avanti da tempo. Da Werner Herzog ai Wilco, passando per giganti dell’avanguardia musicale come i Faust, i Sonic Youth, Mayo Thompson dei Red Krayola e Merzbow, sono infatti tantissimi gli artisti con i quali hai condiviso palchi, album e progetti più ampi. Guardando a tutte le tue esperienze passate e presenti, come pensi sia cambiato il concetto di collaborazione nel corso dei decenni e soprattutto dopo il Covid?
La parola “collaborazione” può essere un po’ fuorviante: che si tratti di lavorare con Werner Herzog, produrre i Wilco o John Fahey, ma anche se pensiamo a esperienze completamente dedicate all’improvvisazione come quelle con Fenn O’Berg (progetto realizzato insieme a Fennesz e Peter Rehberg, N.d.R.) o con Eiko, ti direi che tutte hanno a che fare con livelli diversi di responsabilità, autocontrollo, conformità. In senso lato sono tutte “collaborazioni”, ma ognuna è segnata dalla dinamica, e ho sempre pensato che la dinamica debba essere rispettata. Oltre al discorso Covid, c’è da dire che negli ultimi 7 anni ho vissuto in campagna, quindi la maggior parte del mio lavoro con gli amici si è principalmente limitato a progetti “via posta” alla vecchia maniera, come è successo con Jos Smolders, Giovanni Di Domenico, etc.
La sperimentazione musicale è sempre stata al centro della tua ricerca, ma cosa significa per te fare sperimentazione in senso lato?
Non penso a quello che faccio come a una sperimentazione, tutto questo viene fatto privatamente, è il passo necessario per lo studio e la ricerca. Semmai le cose che presento alla fine le considero come un report di quanto avvenuto o addirittura come una critica.
Pensando alla tua passione per l’Oriente e alle tue collaborazioni più recenti, ti senti più attratto dalla scoperta di sonorità e strumenti antichi o credi di dare molta più importanza a un certo avanzamento tecnologico?
Non mi interessa in modo particolare se qualcosa sia vecchio o nuovo, dal momento che questi concetti sono sempre collegati tra di loro. Pure l’informatica più all’avanguardia è ancora radicata in formule che esistono da secoli, e anche l’approcciarsi da una prospettiva diversa rappresenta di solito una deviazione da ciò che si conosceva prima.
LA MUSICA SECONDO JIM O’ROURKE
Da dove prendi ispirazione per le tue opere?
Dalle cose che mi danno fastidio.
Hai mai pensato, o avuto l’occasione, di lavorare non solo con autori in carne e ossa ma anche con robot e Intelligenze Artificiali?
Ho lavorato in passato con l’AI, e ancora di più con la ricerca sulla vita artificiale (AL) fin da quando ero al college. Naturalmente oggi l’accesso a queste tecnologie è molto più aperto e sono nati interi nuovi campi che uniscono molte di queste discipline, come ad esempio MIR (Music Information Retrieval), quell’insieme di discipline scientifiche che rendono possibili applicazioni come Shazam, etc. In ogni caso, non sono particolarmente interessato alla recente cultura dell’AI, il concetto filosofico di Artificial Life – come viene spiegato nel testo omonimo di Steven Levy – è molto più simile al mio modo di lavorare/pensare.
Oltre a mostri sacri quali John Cage e Stockhausen, c’è qualche altro maestro più recente che ti ha formato musicalmente?
Roland Kayn, Luc Ferrari, Tony Conrad, Cecil Taylor, Derek Bailey, Paul Motian, Georg Friedrich-Haas, Salvatore Sciarrino, l’elenco è lungo…
Nella tua vita privata pratichi la meditazione? Se sì, quanto ha influenzato il tuo modus operandi?
No. Credo che il lavoro e lo studio siano le cose che più mi avvicinino alla meditazione.
Adesso stai lavorando a qualcosa di nuovo?
In questi giorni molto del mio tempo è dedicato ad aiutare a ripristinare gli archivi di Roland Kayn e di altri compositori, a dare una mano ad amici con le loro opere e a studiare. Ultimamente, per quanto mi riguarda, la ricerca è stata più gratificante delle relazioni.
Valerio Veneruso
https://www.jazzisdeadfestival.it/
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