Compie sessant’anni l’album capolavoro di Bob Dylan

Ha trasformato il folk in una forma d’arte a tutti gli effetti. Grazie anche al disco “The Freewheelin' Bob Dylan”, pubblicato il 27 maggio 1963

Primavera 1963, probabilmente l’ultimo periodo di calma politica negli Stati Uniti prima che, in rapida successione, si verificassero l’assassinio di Kennedy, il rafforzamento del disastroso impegno militare in Vietnam e la contestazione giovanile (che in pochissimi anni sarebbe sfociata nel radicalismo violento).
The Freewheelin’ di Bob Dylan (Duluth, 1941) fu una potente ondata di novità nel panorama musicale statunitense dei primi Anni Sessanta, e diede uno scossone a una scena che da alcuni anni era ricaduta in un certo torpore: alla fine degli Anni Cinquanta il rock’n’roll aveva definitivamente perso non soltanto il suo carattere innovativo, ma anche la credibilità, a seguito degli scandali commerciali che portarono all’arresto di diverse personalità del campo discografico, e alla morte o al tramonto di molti degli stessi musicisti (su tutti, Gene Vincent, Eddie Cochran, Buddy Holly).
Lasciata la natia Duluth, Minnesota, nel 1961, Dylan aveva eletto New York, e precisamente l’allora popolare Greenwich Village, a sua nuova residenza; qui si guadagnava da vivere suonando in vari club, dove conobbe cantanti folk come Dave Van Ronk, Fred Neil, Odetta, i New Lost City Ramblers, dei quali studiava con attenzione lo stile. La nuova frontiera sembrava essere appunto quella del folk, una via che un giovanissimo Dylan aveva battuto già con l’eponimo album d’esordio del 1962, riscuotendo però poco successo, forse per l’eccessiva “ruvidezza”.
Nel 1963, Dylan si sentiva maturo per ripresentarsi all’industria discografica.
Il titolo dell’album è traducibile come Bob Dylan a ruota libera, e infatti il cantautore parla di tutto: di amore, di guerra, di pace, della minaccia nucleare, dei diritti civili, in maniera diretta, senza ingessature di maniera. L’album alterna struggenti brani sentimentali (Girl from the North Country, Don’t Think Twice It’s All Right, Corrina, Corrina) ad altri più speculativi, alterna l’introspezione al sentimento, l’impegno civile e pacifista a momenti di straordinaria invenzione narrativa come A hard rain’s a gonna fall, un brano che, come quelli di Guthrie, rispecchiano la vastità del genere umano.

L’ATTIVISMO CIVILE DI BOB DYLAN

Pur con una minore connotazione politica rispetto al suo maestro putativo Woody Guthrie, le cui canzoni riuscivano a trasmettere l’infinita portata dell’umanità, anche Dylan volle comunque essere un cantautore impegnato. All’epoca Dylan aveva una relazione con la compianta Suze Rotolo (i due compaiono insieme sulla copertina dell’album), artista e attivista politica che in parte lo influenzò sulla direzione da prendere; anche grazie a lei, infatti, videro la luce brani impegnati che rispecchiavano l’andamento dei tempi. Il Vietnam non era ancora ridiventato una polveriera, ma già l’Africa cominciava a vivere il suo calvario di guerre civili, la Guerra Fredda si manteneva indecifrabile, e Dylan compose Masters of War e Blowin’ in the Wind: ferma condanna del militarismo il primo, immortale inno pacifista il secondo, anticipatori di quello che, pochi anni dopo, sarebbe stato il clima delle manifestazioni studentesche negli USA e in Europa; in quei brani si ritrova la freschezza dell’utopia, ma anche la rabbia di chi lotta per un mondo migliore.
Talkin’ World War III Blues è invece una satira sulla Guerra Fredda, sulle tensioni da essa generate (non ultima la crisi dei missili cubani dell’autunno 1962) e la propaganda che adombrava un possibile conflitto con l’Unione Sovietica.
Ma c’era un altro conflitto che, negli Stati Uniti, non era certo meno preoccupante: si trattava di quello razziale, e su questo Dylan compose Oxford Town, ispirata alla vicenda di James Howard Meredith, il primo studente nero che riuscì a far valere i propri diritti contro la segregazione razziale e a iscriversi all’Università del Mississippi, nonostante una durissima opposizione della popolazione bianca della cittadina di Oxford.
Nell’agosto di quell’anno si sarebbe svolta la celebre Marcia su Washington per il lavoro e la libertà, nella quale intervenne anche Martin Luther King, oltre allo stesso Dylan con Joan Baez. Pur a piccoli passi, il cammino per i diritti civili passava anche dalle canzoni dei cantautori impegnati.

Un concerto improvvisato in una piazza del Greenwich Village, primi Anni Sessanta

Un concerto improvvisato in una piazza del Greenwich Village, primi Anni Sessanta

LA POTENZA DELLA PAROLA NEL DISCO DI BOB DYLAN

Ogni singola parola dei brani dell’album rispecchia l’atmosfera della musica, la interpreta e l’amplifica in una concatenazione di frasi in cui Dylan fonde la tradizione dei cantastorie e quella della poesia colta, creando un linguaggio che apre nuovi orizzonti espressivi per la musica folk, ma anche per il blues e il rock che nascerà di lì a poco. L’esempio più compiuto di questo nuovo corso è probabilmente A Hard Rain’s a-Gonna Fall, che riecheggia e riunisce il Simbolismo, la poesia e la narrativa della Beat Generation, in un ritmo cadenzato da strofe incalzanti, dalle quali scaturiscono visioni stranianti, scene ricche di dettagli e di persone come una pittura di Pieter Bruegel. Da solo, questo brano giustifica il Nobel per la Letteratura ricevuto da Dylan nel 2016. Anche se l’autore smentì in seguito l’interpretazione che la pioggia evocata nel titolo avesse a che fare con il fall-out nucleare, resta comunque il fatto che le parole del testo comunicano un’atmosfera di dolorosa bellezza, di angoscia latente, di minaccia imminente. Un’atmosfera che, nelle incertezze di questo periodo storico, ritroviamo intatta ancora oggi.
Gli Stati Uniti dell’epoca erano un Paese contraddittorio, che oscillava fra un estremo e l’altro: inclusivo e razzista, progressista e conservatore, pacifista e guerrafondaio. Ma il progresso sociale, sulla scia della contestazione giovanile, che per la prima volta sembrava poter trovare sfogo e ascolto almeno presso l’opinione pubblica, si annunciava inarrestabile. E questo memorabile album di Dylan fu subito un simbolo per il decennio che cominciava all’insegna di un possibile rinnovamento, e contribuì a conferire all’autore un’aura di portavoce generazionale, più volte smentita (forse per modestia) nei lavori degli anni successivi. Resta comunque il fatto che, a partire da questo secondo album, Dylan si distinse per il respiro intellettuale della sua produzione cantautorale.

Niccolò Lucarelli

https://www.bobdylan.com/

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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