Futuro Antico. Intervista al compositore Michele Dall’Ongaro
“Il futuro è il passato lanciato in avanti dal presente”. Queste e altre riflessioni sul domani nelle parole del presidente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Michele Dall’Ongaro (Roma, 1957) ha frequentato il Conservatorio Santa Cecilia di Roma ed è tra i cofondatori di Spettro Sonoro. Oltre ad aver collaborato con l’Orchestra sinfonica della RAI nel 1980 e con la Fondazione RomaEuropa in veste di consulente durante gli Anni Novanta, ha operato anche nel settore Musica della Biennale di Venezia. Nel 2001 è stato tra i membri della commissione artistica del 51esimo Festival di Sanremo. È il presidente-sovrintendente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Quali sono le tue fonti di ispirazione nell’arte?
Mi piacerebbe avere una risposta chiara su questo tema. Sciaguratamente il terreno sul quale ho seminato e semino le idee del mio fare musica (in tutte le modalità possibili e con esiti variabili: scrivendola, suonandola, scrivendone, insegnandola, parlandone, organizzando) è talmente proteiforme da rendere davvero problematica una (mia) risposta coerente. Se ci penso bene, vedo la passione per l’avventura dello spettacolo, il cinema, la radio, la musica, il teatro contagiato dal ramo materno della mia famiglia come il gusto per la fantasia, l’invenzione che mio padre scrittore e giornalista (come i suoi avi) cercava di allenare in noi figli con esercizi formativi quanto bislacchi. Vedo l’attrazione per la dimensione magica e arcana della vita contrastata (eppure, sorprendentemente, complementare) dalla rigida educazione progressista e militante autoimposta nell’adolescenza. E dunque in questa moltitudine di stimoli, sollecitazioni, presenze ciò che davvero cerco e mi ispira è la ricerca di sintesi tra questi mondi, il punto x da trovare in una mappa coloratissima e aggrovigliata, quadrimensionale e iridescente. Linee guida: un ideale etico imparato dai vecchi Maestri, la ricerca di una continuità con il flusso delle musiche nel tempo ma anche il gusto per la libertà e il divertimento, la sprezzatura, le forme diverse della narrazione, la consapevolezza di una pluralità anche distopica. La ricerca di uno spazio bianco dentro questo puzzle bulimico dove piazzare un altro lemma, sempre diverso, di un’infinita enciclopedia musicale, di un paesaggio sonoro affollato ma possibile.
Qual è il progetto che rappresenta di più la tua identità? Puoi raccontarci la sua genesi?
Direi che il progetto più importante è sempre l’ultimo al quale lavoro, anche perché cerco di realizzarlo in modo diverso dai precedenti, inserendo un segno, anche minimo, di novità, di cambiamento. Il modello (ovviamente ideale anzi mitologico) sono le sonate per pianoforte di Beethoven: sono 32 ma non ce n’è una uguale all’altra perché lui, come ha detto qualcuno, era sordo, si, ma solo al superfluo.
Qual è l’importanza del Genius Loci per te nel tuo lavoro?
Credo che il Genius Loci sia, se non tutto, quasi tutto. Ma di quale luogo, oggi, ci racconta il Genius Loci? Per quanto mi riguarda è semplice, quel che conta è il luogo che mi sono costruito nella mente, il mio labirinto, la tana del racconto di Kafka dentro il quale ci sono i punti di riferimento in continua trasformazione ma sempre o quasi riconoscibili. Ma se questo poteva bastare fino a poco fa, oggi per i rappresentanti della “società liquida” di Bauman lo spirito di quale luogo può diventare una casa comune? E, come se nulla fosse stabile, trionfa la discontinuità e la Storia sembra priva di direzioni. Qualità considerate assolute ‒ come il perpetuarsi e il rinnovarsi dei valori ‒ sono inattuali. Altre categorie s’impongono: la transitorietà, la velocità, l’intercambiabilità: come la memoria di massa dei computer, anche il pensiero umano sopravvive travolto dal continuo update in una società radicalmente trasformata e plurima dove da tempo è assente il senso di appartenenza che lega un gruppo sociale sufficientemente omogeneo. In questo atlante animato possono semmai convivere diverse opere di riferimento, numerose quanto le comunità disposte a riconoscerle come tali, pronte a lasciare il posto alle prossime, e poi così ancora. Ci vorrà molto tempo per ricostruire una casa comune, che sarà comunque molto diversa da quella (quelle) che conosciamo oggi. Se il tema dell’identità è oggi il più dibattuto un motivo ci sarà.
PASSATO E FUTURO SECONDO MICHELE DALL’ONGARO
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Il futuro è il passato lanciato in avanti dal presente. Tutto il passato contiene tutto il futuro o tutti i futuri possibili. Anche la musica, la sua storia, la storia dei suoi protagonisti, dei movimenti, delle tecniche degli effetti nella società lo insegnano. Esemplare, fra le tante, la storia di Charpentier (quello reso famoso dalla sigla dell’Eurovisione!): dalla Francia nel Seicento va a specializzarsi alla scuola di Carissimi a Roma per perfezionare “lo stile italiano”, allora dominante. Torna a Parigi e trova un immigrato fiorentino, Giovanni Battista Lulli, che, rinominato Lully, è diventato il cocco di Re Sole con il potere assoluto sulla musica in Francia, “inventore” dello stile francese che non gli lascerà né occasioni né spazio. Invece di perdere tempo con un Erasmus inutile, Lulli aveva capito che la Francia non era un Paese frammentato come l’Italia ma una nazione con un grande Stato centrale che cercava e reclamava la sua identità (appunto) e voleva cantare la grandeur con una musica nuova. Più di un upgrade degli studi poté la capacità di intuire nuovi bisogni sociali, la necessità del cambiamento, la spinta verso il nuovo e l’inedito. Il passato ci insegna tutto, sta a noi saper ascoltare.
Quale consiglio daresti a un giovane che voglia intraprendere il tuo percorso?
Di essere come Lully: coraggioso, impudente e curioso, disposto a seguire veramente la sua strada a ogni costo. Poi consiglio anche di essere più colto (ovviamente non solo nella musica), più istruito, più tecnicamente agguerrito possibile. Di avere una consapevolezza anche fisica del fatto musicale, suonando, dirigendo, scrivendo, studiando, cantando, ballando (cioè: imparando a pensare anche con il corpo), ricordando che la musica non è solo interpretazione del mondo ma anche un modo per cambiarlo. E già che ci siamo: essere e rimanere una persona perbene, diffidando delle cattive compagnie e delle scorciatoie. Ci vuole fegato ma funziona.
In un’epoca definita della post verità, il concetto di sacro ha ancora importanza e forza?
L’Arte è sempre vera quindi l’Arte è sempre sacra e, a modo suo, antagonista. Ce n’è bisogno? Ovviamente e sempre di più. Per quanto mi riguarda, aspettando che venga il mio momento per vedere come stanno le cose, coltivo il culto della mia religione sentendomi una sorta di sacerdote della musica, una dea generosa che restituisce esattamente ciò che le si dà in termini di passione, tempo, intelligenza, talento, dedizione, cura, così come sa punire – e severamente ‒ chi la offende.
Come immagini il futuro? Puoi darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Immagino un futuro che somiglia al nostro presente, ma esasperato in tutti i suoi aspetti. Come se tutti gli stadi attraversati nei secoli dalle diverse civiltà convivessero contemporaneamente, esasperatamente, ovunque. Cioè immagino il futuro come una caricatura del presente fino all’arrivo di una nuova luce, di una nuova creatività.
Tre idee? 1. Penso che il vagheggiato multiverso sia per il momento un fatto molto terrestre qui e ora: l‘idea è imparare a gestirlo. 2. Dare una risposta nuova ai problemi che il Novecento ha cercato di risolvere con invenzioni come il voto democratico, i diritti civili, i sindacati. Trovare strumenti nuovi che rispondano a vecchie domande come i rapporti di potere tra massa ed élite. 3. Non sottovalutare mai il potere dell’Arte. Se andremo su altri pianeti, altre galassie abitate, ci dirà ben più di quella popolazione il loro modo di interpretare la vita attraverso le arti che attraverso il confronto sul potere di acquisto delle rispettive monete. Peggio della mancanza di soldi c’è solo la mancanza di idee.
Marco Bassan
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