Gli artisti che celebrano i CCCP a Reggio Emilia
I quattro musicisti italiani che hanno fatto la storia dialogano in una mostra con quattro artisti contemporanei, ripercorrendo la storia della loro ascesa all'Olimpo musicale
L’epoca e la storia del punk dei CCCP rivivono a Reggio Emilia: nel cuore della terra che ha dato loro i natali. La mostra, pensata dagli stessi musicisti in collaborazione a quattro artisti contemporanei, celebra i quarant’anni del gruppo con un’esposizione di alta carica emozionale. Una carrellata sonora e visiva frutto di un’esperienza unica, che si chiude con la caduta del muro di Berlino, giocata su un allestimento impattante, curato dai creativi milanesi Vasques Studio.
Le sculture di Luca Prandini celebrano il successo dei CCCP
Tra le sale, che al pianoterra sono dedicate ciascuna ai dischi, mentre al primo piano ricreano suggestivi percorsi tra video e musica, incontriamo quattro artisti che si pongono come collaterali al viaggio onirico e che contribuiscono ad amplificare il significato del trasformismo dei musicisti attraverso gli anni. Il primo è uno scultore reggiano, Luca Prandini, invitato dagli stessi membri del gruppo a raffigurarli in tutta la la loro potenza esplosiva nella stanza che segna il loro passaggio alla professionalità firmando il contratto per la Virgin. La scultura – monumento in polistirolo resinato e luminoso, ispirata al loro terzo album, Socialismo e barbarie, mostra i soggetti con una raffigurazione eroica, secondo la modalità dell’antica statuaria e dei monumenti berlinesi di stampo sovietico. Soviet 110% (titolo che allude ironicamente al bonus di rifacimento dei cappotti delle case) va a suggellare la vittoria di una Annarella molto femminile e tribale, ritratta come Minerva e dei suoi compari.
Gli altri artisti in mostra a Reggio Emilia
Dopo essere saliti lungo le suggestive scale illuminate dal light designer Pasquale Mari, si incontrano gli altri tre artisti invitati ad interpretare un momento per loro significativo. Il sound artist Roberto Pugliese propone l’installazione immersiva realizzata site-specific Onde. Costruita sull’ascolto di un brano inedito trovato in un archivio, essa si attiva in modo interattivo col passaggio del visitatore, che si ritrova a camminare tra altoparlanti sospesi nel vuoto e cavi audio. Passando lungo il corridoio, ci si immerge in un ambiente sonoro disturbante, ascoltando in modo distorto i suoni della canzone fino ad arrivare alla versione originale. Un’esperienza distopica e straniante, creata sapientemente con l’ausilio di sensori, che ci riporta a quell’atmosfera punk e sporca respirata durante l’attività dei CCCP.
Il conflitto sociale dell’era punk dei CCCP in mostra
L’impronta di Studio Azzurro è ben chiara nella videoinstallazione di Stefano Roveda (ex membro del collettivo), che riporta all’interno della conflittualità sociale dell’epoca, che mantiene strascichi anche nell’attualità più vicina a noi. Antropicon si snoda in un flusso continuo attraverso gli specchi, come fosse un affresco rinascimentale, con immagini calibrate che rimandano ad una riflessione sul conflitto e sulla guerra, seguendo il fil rouge della protesta. Quarantacinque minuti di materiali d’archivio – montati assieme come fossero in una webcam più che in un docufilm – narrano gli effetti collaterali di un militarismo dai connotati punk che si avvicina all’esaltazione dei manifestanti, in un assemblaggio continuo di microstorie dissonanti.
Il viaggio si completa con le parole tombali di Fedeli alla lira; opera che chiude semanticamente il cerchio tra tutte, realizzata da Arthur Duff. Il suo titolo esprime bene il concetto intrinseco che va a dimostrare, nella stanza denominata degli insulti. La contestazione viene qui affiancata al consumismo del capitalismo, che prende il sopravvento e si va a sostituire al claim della band. Fedeli non più alla linea ma al dio denaro che ci sovrasta dall’alto, assieme alla scritta che ricorda come anche dietro all’offesa si possa nascondere una parvenza di bellezza.
Francesca Baboni
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