A Ravenna una mostra e un documentario per ricordare Demetrio Stratos
La mostra e il documentario hanno il merito di riaccendere i riflettori non soltanto su un periodo – gli Anni ’70 – certo complesso e doloroso eppure percorso da riflessioni, sperimentazioni e slanci in avanti, ma anche su una personalità artistica non ordinaria
Palazzo Malagola ospita fino al 22 dicembre – ma è probabile una riapertura nei primi mesi del 2024 – la mostra Amorevolmente progredire, amorevolmente regredendo. La ricerca vocale di Demetrio Stratos, curata da Ermanna Montanari ed Enrico Pitozzi. Una straordinaria occasione per (ri)scoprire la poliedrica e rivoluzionaria personalità artistica di un protagonista della scena musicale e performativa italiana degli Anni ’70.
Il documentario su Demetrio Stratos
“Oggi, con il declino della vecchia vocalità cantata, si tende a usare la voce come tecnica di espressione. Io voglio spingere la mia ricerca più in là, fino ai limiti dell’impossibile. Faccio esperimenti sui suoni più acuti e sono arrivato fino a 7000 hertz. Cerco di prendere tre o quattro note alla volta, di lavorare sugli armonici. Tutto questo non ha nulla a che vedere con la tecnica di espressione, è più che altro una tecnica di controllo mentale, è un microcosmo ancora da scoprire”. Questa dichiarazione e le “bocche” ritratte dalla fotografa Silvia Lelli aprono paradigmaticamente la mostra che i co-direttori di Malagola, Ermanna Montanari ed Enrico Pitozzi, hanno dedicato a Demetrio Stratos, il cui archivio è stato acquisito dal Comune di Ravenna grazie a un co-finanziamento della Regione Emilia-Romagna e, soprattutto, alla disponibilità della vedova dell’artista, Daniela Ronconi. Accolto – quale migliore destinazione – negli spazi del Centro di ricerca vocale e sonora creato due anni fa dal Teatro delle Albe, l’archivio ha fornito i materiali in esposizione: fotografie, manoscritti, poster, materiali audio e video, disposti in sette stanze, fra cui una sala, buia e accogliente, destinata all’ascolto immersivo. In occasione dell’inaugurazione della mostra, il 6 dicembre scorso, si è tenuto un seminario di approfondimento sulla figura di Stratos, esemplarmente lumeggiata anche dal film-documentario La voce Stratos (2009, disponibile sul sito www.streeen.org) diretto da Monica Affatato e Luciano D’Onofrio e proiettato lo scorso 16 dicembre nella sala Martini del Museo d’Arte della città di Ravenna.
Chi era Demetrio Stratos?
Nato Efstratios Demetriou ad Alessandria d’Egitto da genitori greci, l’artista iniziò presto a studiare musica. Costretto dagli eventi storico-politici a trasferirsi prima a Cipro e poi a Milano, Demetrio Stratos sperimenta fin dall’infanzia il plurilinguismo – greco, inglese, italiano. In Italia Stratos è prima con il gruppo rock I Ribell e, dal 1972, con gli Area, uno dei gruppi più significativi della scena “sperimentale” italiana. Contemporaneamente Stratos dà avvio alla propria ricerca sulla voce, stimolata anche dalla nascita della figlia Anastassia, di cui osserva gli inconsapevoli esperimenti vocali da neonata, la cosiddetta “lallazione”. C’è, poi, il fertile incontro con John Cage, di cui l’artista interpreta i Sixty-two Mesostics Re Merce Cunnigham, per sola voce e microfono. E, ancora, Metrodora (1976), primo album da solista e compendio delle ricerche sulla voce compiute fino a quel momento e condivise anche con Franco Ferrero, medico/ricercatore del Centro di studio per le ricerche di fonetiche del C.N.R. di Padova. Negli anni successivi, Stratos affianca all’attività solista la collaborazione con gli Area e con John Cage ma anche con il poeta Nanni Balestrini finché, agli inizi del 1979, interpreta per France Culture Pour en finir avec le jugement de Dieu di Antonin Artaud – autore col quale è innegabile un’intrinseca affinità. Nel giugno dello stesso anno, tuttavia, a soli 34 anni Stratos muore a New York dove si era recato per tentare, invano, di curare la terribile forma di leucemia che l’aveva colpito…
L’originalità della ricerca di Demetrio Stratos
La mostra allestita a Malagola, così come la riproposta del documentario di Affatato-D’Onofrio, hanno il merito di riaccendere i riflettori non soltanto su un periodo – gli anni ’70 – certo complesso e doloroso eppure percorso da riflessioni, sperimentazioni e slanci in avanti fondamentali per scrollarsi di dosso tradizioni asfitticamente reazionare; ma su una personalità artistica non ordinaria, che diede avvio a un percorso di ricerca tanto straordinariamente innovativo quanto successivamente negletto. Demetrio Stratos, partendo dalla necessità di liberare la voce dalla ipertrofia espressiva dello “stile” – incarnata dai cantanti lirici – per ricondurla alla sua natura primaria di “prodotto” del movimento di due muscoli, le corde vocali, s’incamminò lungo un percorso a ritroso, alle origini, ancora prima del linguaggio, della consapevolezza umana di essere in grado di emettere suoni, di intensità e di varietà potenzialmente infinite. Stratos sperimentò, così, la diplofonia, ovvero la capacità di emettere contemporaneamente due note armoniche diverse; s’interessò delle tecniche di respirazione orientali; studiò la musica tradizionale bizantina ma anche quella vedica indiana; collaborò, come detto, con John Cage e si avvicinò al teatro di Artaud. Stratos seppe restituire alla voce il ruolo di strumento musicale pressoché perfetto, qualità cui devono tendere gli strumentisti – e non viceversa. L’artista evidenziò la materica e dunque teatrale fisicità della voce e, rivendicandone l’autonomia dalla necessità di “dovere dire qualcosa”, le restituì il suo innato valore politico. L’esordio di un processo che avrebbe potuto rivoluzionare il modo di essere sulla scena, come cantante e come attore e che, purtroppo, pare essersi interrotto quarantaquattro anni fa…
Laura Bevione
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