A Venezia un laboratorio realizzato da musicisti alla Casa di Reclusione Femminile della Giudecca
Sono Caterina Barbieri, Gigi Masin, Courtesy, Lee Gamble e Opium Child gli artisti coinvolti nel progetto “Lo spazio immaginato”, tra musica e testo con le detenute del carcere femminile. Ci siamo fatti raccontare il progetto
Sono evocate dall’ascolto degli spleeping mix di Caterina Barbieri, Gigi Masin, Courtesy, Lee Gamble e Opium Child le storie, i sogni e i ricordi delle donne della Casa di Reclusione Femminile della Giudecca a Venezia, rielaborati successivamente dai musicisti per realizzare un’opera narrativa e sonora. Il progetto, dal titolo Lo Spazio Immaginato, vede la collaborazione tra l’associazione veneziana Closer, che dal 2016 promuove attività culturali in luoghi “difficili” come le carceri, e la casa editrice internazionale specializzata in arte, musica, filosofia e culture visive NERO, insieme al sostegno della Società delle Api, l’organizzazione indipendente fondata nel 2018 da Silvia Fiorucci che promuove conoscenza e dialogo tra diverse discipline. “Lo Spazio Immaginato è stato concepito come un’occasione inedita da offrire alla comunità, perché generato in un luogo tradizionalmente connotato da una specifica idea di chiusura e di isolamento, concetti in aperta antitesi a quelli tradizionalmente attribuiti alla musica e ai contesti nei quali viene fruita”, racconta ad Artribune Francesco de Figueiredo di NERO, mentre Giulia Ribaudo di Closer aggiunge: “l’idea di chiedere alle donne di raccontare i loro sogni è nata semplicemente dalla convinzione che raccontare è la prima forma di evasione. Dialogare sui loro sogni – non attribuendo nessuna forma terapeutica a quest’azione – è significato creare delle storie che sono andate a incrociare elementi subconsci generati effettivamente durante il sonno o i momenti di dormiveglia, con ricordi ancora nitidi o con desideri sfocati da un futuro incerto”.
Cinque musicisti alla Casa di Reclusione Femminile della Giudecca
Lo Spazio Immaginato inaugura venerdì 19 aprile al Teatrino Groggia (Cannaregio, 3150), durante la settimana di apertura della 60. Biennale d’Arte di Venezia, con una preview installativa tra dimensione personale e collettiva: “crediamo che l’arte vada promossa innanzitutto per la sua capacità di stimolare la fantasia e di esplorare percorsi insoliti, segnando traiettorie inedite, capaci di accendere riflessioni che possano essere al tempo stesso personali e collettive”, dichiara Silvia Fiorucci, fondatrice di Società delle Api. La Casa di Reclusione Femminile della Giudecca si trova in un antico monastero del XII Secolo, dal 1611 ospizio per prostitute redente gestito da suore, da cui prende il nome la calle dell’entrata principale, Calle delle Convertite. Nel 1859 il Governo austriaco adibì il convento a casa di pena e di correzione femminile, affidando la custodia delle recluse alle Suore di Carità. Nonostante l’alternarsi di vicende durante i periodi bellici, il complesso ha conservato la sua funzione fino a oggi.
Caterina Angelucci
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