50 anni di Diamond Dogs, l’album di David Bowie contro l’omologazione 

Sinistro, glam, istrionico: difficile definire univocamente Diamond Dogs, lo storico album di David Bowie pubblicato nel 1974. Cinquant’anni dopo riscopriamo la sua cover, le sue tracce e, soprattutto, il contesto da cui nasce e a cui si rivolge

Fu uno degli album più ascoltati dell’estate del 1974 ed è ancora oggi uno dei più noti del compianto David Bowie (Brixton, 1947 – New York, 2016). A mezzo secolo dall’uscita, Diamond Dogs fa ancora riflettere per come affronta le questioni di genere e incita a essere liberi nonostante tutto, attraverso raffinate costruzioni musicali che spaziano dal rock al funk 

Fronte e retro della copertina di Diamond Dogs, 1974
Fronte e retro della copertina di Diamond Dogs, 1974

Il glam rock intellettuale di “Diamond Dogs” 

Fu il terzo album consecutivo di David Bowie a raggiungere la vetta delle classifiche del Regno Unito e il primo a raggiungere la Top 5 degli Stati Uniti, un’opera oscura, sinistramente affascinante, densa di decadenza e terrore. Concepito durante un periodo di incertezza sulla direzione che avrebbe preso la sua carriera, Diamond Dogs è il risultato di vari progetti non realizzati da Bowie, appunto confluiti nell’album: un musical sul personaggio di Ziggy Stardust, un adattamento del romanzo 1984 di George Orwell e un racconto apocalittico di matrice urbana basato sugli scritti di William S. Burroughs. Un album che nasce da un’ispirazione letteraria assai colta, nel segno del libero pensiero.  

Il contesto storico e sociale 

Tramontata la brevissima epoca delle utopie, la Gran Bretagna (e l’Europa) della metà degli Anni Settanta conobbero una fase di radicalizzazione anche violenta che caratterizzò l’ultima stagione di impegno sociale prima che la deriva degli Anni Ottanta radesse quasi al suolo la reattività delle coscienze. In particolare per l’Inghilterra, il 1974 fu un anno difficile, a causa dei ripetuti scioperi dei minatori, della speculazione immobiliare, della crisi energetica e del terrorismo dell’IRA. E molto scalpore destò anche la morte dello studente Kevin Gately a Londra, in Red Lion Square, la prima vittima in una manifestazione sul suolo britannico dal 1939. Un profondo pessimismo intriso di nichilismo avrebbe caratterizzato pochi anni più tardi il movimento punk, ma già Bowie nel 1974 affrontava il disagio e la disperazione della vita urbana che l’idealismo hippie in un certo senso aveva negato. Diamond Dogs è un viaggio fra aree industriali degradate, edifici vittoriani semivuoti, stanze di periferia piene di anfetamine e corpi nudi, marciapiedi affollati di persone alla ricerca di un’identità, anche sessuale, e di una motivazione. 

Una veduta dello Strand, a Londra, nel 1974
Una veduta dello Strand, a Londra, nel 1974

Disillusione e istinto alla lotta 

La copertina dell’album, ispirata all’immaginario dei circhi di Coney Island, è opera dell’artista belga  Guy Peellaert (autore anche di quella di It’s Only Rock ‘n’ Roll dei Rolling Stones) ed è una superba stranezza (sulla scia ideale di Space Oddity del 1969) dove Bowie appare come una creatura a metà fra l’uomo e il cane, “blasfema” rilettura dei centauri della mitologia greca. Nella mitologia urbana degli Anni Settanta, anziché battagliare con gli Dèi, ci si limita a fiutare i bidoni della spazzatura. E subito il brano d’apertura Future Legend squarcia il velo su un oceano d’orrore, più oscuro della descrizione di una New York post-nucleare: spaventoso, inquietante, nauseante, disgustoso, apocalittico. A differenza dell’altrettanto visionaria città descritta da Bob Dylan in A Hard Rain’s a-Gonna Fall, qui non s’incontrano bambine che regalano arcobaleni.  

Diamond Dogs e la rivalsa dei freak 

L’ispirazione al mondo del circo non è però nuova, l’idea circolava già dal 1972, con la copertina di Exile on Main Street dei Rolling Stones che dava dignità ai “diversi”, nel corpo e nell’anima. Due anni più tardi anche Bowie segue la medesima strada, riflettendo sulla difficile condizione sociale di omosessuali, transessuali e delle persone non binarie in genere. La metafora sessuale sta proprio nella figura uomo-cane della copertina, per la cui posa Bowie si ispirò a una analoga del 1926 di Josephine Baker, e la domanda sullo sfondo è questa: arriverà un giorno in cui anche i “freak” saranno effettivamente celebrati? E già la Baker, con la sua pelle meravigliosamente nera, creava qualche problema all’Europa degli anni Venti e Trenta. Stesse atmosfere nello spettrale trittico di nove minuti costituito dai brani Sweet Thing, Candidate, Sweet Thing (Reprise), dove si narrano avventure di prostituzione maschile emotivamente forti come certi dipinti di Jean-Michel Basquiat, che veniva dalle medesime esperienze. E ancora, 1984 e Big Brother stigmatizzano una società che opprime il libero pensiero con un eccesso di tecnologia e lo spettro del politicamente corretto; il dito di Bowie è puntato contro un futuro tecnologico disumanizzante, che relega l’uomo a una condizione di minorato mentale. 

Josephine Baker nel 1926, nella posa che ispir• David Bowie. Photo Boris Lipnitzki
Josephine Baker nel 1926, nella posa che ispir• David Bowie. Photo Boris Lipnitzki

Il brano “Rebel Rebel” di David Bowie 

È forse il brano che riassume tutta l’avventura di Diamond Dogs: un brano che è un omaggio musicale a Keith Richards e ai suoi riff di chitarra, e che ha per protagonista l’inetichettabile, sorprendente Halloween Jack, profeta post-apocalittico che si muove in un paesaggio urbano distopico e che balla su un mondo ormai sull’orlo del precipizio: il precipizio dell’omologazione, che rifiuta le personalità fuori dai canoni e che cerca di combattere contro quel sistema oppressivo che Orwell aveva già immaginato nel 1949. Negli Anni Settanta delle esperienze radicali, anche l’esibizionismo può diventare uno strumento di lotta civile, con buona pace dei benpensanti. Il protagonista di Rebel Rebel non nasconde un certo lato dark nel suo strisciare verso la follia, ma questo nichilismo deve anche essere inteso in chiave metaforica e provocatoria, nel senso del rifiuto della passiva, noiosa e prevedibile “normalità” materialista della società dei consumi. Il brano è anche, in un certo senso, un ritratto in filigrana del Bowie degli Anni Settanta, già delineatosi nel 1972 con il personaggio di Ziggy Stardust. 

Diamond Dogs: un album caleidoscopico 

Diamond Dogs è un album sperimentale, che incorpora più di una soluzione musicale, dal funk al soul all’opera rock, dalla canzone d’autore sullo stile di Frank Sinatra al musical di Broadway e alla musica concreta di Karlheinz Stockhausen. Ma il filo conduttore resta comunque il glam rock, perché l’album è una sorta di performance teatrale, dove il suono è preceduto dalla visione dell’istrione Bowie, volutamente ambiguo, androgino, nichilista, paranoico, per esplorare complesse questioni di identità e potere, come si vede nel modo in cui gioca con il genere e sfida la categorizzazione. Un istrionismo che ha influenzato i Queen ed è arrivato fino a Lady Gaga
 
Niccolò Lucarelli 

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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