La musica come rituale. Intervista al producer elettronico Heith
Il producer milanese è da poco uscito su PAN, etichetta i cui artisti si muovono anche in altri ambiti quali arte contemporanea, ecologia, socialità, con l’ep “The Liars Tell…” che affonda le origini nell’album di debutto di 2 anni fa. Lo abbiamo intervistato su entrambi
Dopo X, Wheel, album di debutto su PAN di Bill Kouligas, apprezzato per la ricchezza e varietà delle influenze musicali e vera scoperta del 2022, Heith, producer milanese co-fondatore di Haunter Records, torna sulla medesima etichetta con The Liars Tell…, un ep più ambient, dove si concentra maggiormente sulla voce. Continuando a sviluppare un’identità artistica dall’unicità rara, dove convergono due percorsi: quello elettronico e quello più legato alla musica suonata, della prima giovinezza. L’abbiamo incontrato per farci raccontare della sua visione escapista della musica e per delineare un quadro della sua produzione, che lo annovera, anche se recente in termini di release, tra i musicisti da tenere d’occhio e da cui ci si aspetta un’interessante crescita.
Intervista al producer elettronico Heith, tra musica e arte
Quando è nato X, Wheel e come l’hai strutturato?
Non è nato da un’idea precisa. Ho iniziato a lavorarci nel 2019 prima della pandemia, poi ci sono voluti due anni affinché uscisse. Ho un approccio alla musica che non è concettuale. Per me è come andare in terapia e riuscire a verbalizzare ciò che ho in testa. Non penso molto quando produco un brano, anzi è un lavoro che faccio più a ritroso, come nella scrittura automatica. Dentro c’è tutto ciò che mi influenza nella vita e nella ricerca di tutti i giorni, tanto quanto nella musica che ascolto. In questo caso, soprattutto sulla parte visiva, l’album ha preso forma attraverso la collaborazione parallela che stavo portando avanti con l’artista Pietro Agostoni, con cui abbiamo sviluppato un alfabeto, ispirandoci ai linguaggi asemici.
I riferimenti sonori meno “comuni” presenti al suo interno, come la musica rituale (la gamelan), derivano da una fascinazione dovuta a un viaggio?
Nel 2017 ho fatto un viaggio in Indonesia e per caso ho conosciuto dei ragazzi dell’Università di musica tradizionale di Bandung (i Tarawangsawelas) e ho passato mesi con loro, partecipando anche a cerimonie. In Indonesia la cultura è animista ed è stata per me la prima volta in cui sono venuto in contatto con questo tipo di approccio, che però è affine alla visione spirituale che ho della musica. Anzi credo sia stato l’escapismo ad avermi fatto appassionare da bambino. L’aspetto rituale della musica riguarda molto questa dimensione o comunque il contatto con qualcosa di più ineffabile. L’ingresso in un’altra realtà, la possibilità di immaginare altri mondi.
Heith e la musica come rituale
The Liars Tell… è più ambient e si concentra maggiormente sulla voce. Perché hai scelto questa direzione?
È un processo che è venuto da sé andando in tour. Sul palco mi pareva servisse l’elemento narrativo della voce e ho provato a utilizzarla per accentuare l’aspetto performativo. Due dei pezzi di The Liars Tell… sono dei re-work di quelli di X, Wheel: in tour abbiamo dovuto ri-arrangiarli, perché il primo album l’avevo prodotto io, mentre sul palco ci sarebbero stati altri musicisti, quindi dovevano avere il loro spazio. Inoltre dal vivo non si può replicare ciò che viene fatto in studio, occorre inventarsi altre cose, per cui i pezzi dei live erano diventati molto diversi rispetto all’album originario. Mettere anche il corpo in una condizione di vulnerabilità è stato stimolante.
La musica come rappresentazione dell’immaginario
Quando parli di vulnerabilità riguardo alla musica dal vivo a cosa ti riferisci?
All’utilizzo della propria presenza fisica e della sua relazione con ciò che la circonda, in questo caso il palco o il pubblico. Nella musica elettronica si tende a nascondersi. Non serve molto la dimensione corporea. A me interessa raccontare delle storie, quindi lavorare anche su degli aspetti più visivi. Perché penso sia interessante continuare a fare degli spettacoli. Credo che la musica possa essere disruptive, che possa creare una sospensione della realtà.
La tua identità artistica ha un carattere di unicità raro. Come nasce questa combinazione dell’elettronica con altre sonorità e generi?
È avvenuto in maniera naturale, quando ho fatto pace con i due lati del mio percorso musicale, quello elettronico e quello precedente quando facevo parte di varie band. Mi piace utilizzare gli strumenti, tanto quanto produrre col computer. Confondere le idee su questo aspetto credo sia interessante. La realtà in cui viviamo è pervasa dalla finzione. Forse non interessa più a nessuno che qualcosa sia vero, che sia reale. Per me la musica del resto è sempre finzione, come uno spettacolo. È la rappresentazione di qualcosa di immaginario che diventa reale.
Carlotta Petracci
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