Ritorno a Roma. Intervista al collettivo musicale Salò

In occasione dell'avvio di un nuovo progetto, abbiamo parlato con il collettivo romano, nato nel 2019, approfondire con loro il rapporto tra musica e performance, e la loro visione quasi da opera d’arte totale

Ai Forum Studios, dove musicisti e compositori hanno scritto importanti pagine della storia musicale italiana, soprattutto in relazione al cinema, abbiamo conosciutoi Salò, il collettivo romano nato nel 2019 che oggi vede coinvolti in primis Toni Cutrone, Cosimo Damiano, Emiliano Maggi, Giacomo Mancini e Marco Bonini.  Dopo l’uscita del loro primo album sulla berlinese Kuboraum Editions nel 2023, ora stanno avviando un progetto profondamente romano, con un forte radicamento territoriale, grazie anche alla rinascita del Baronato Quattro Bellezze, punto di riferimento della Roma alternativa del secondo dopoguerra. In attesa che una nuova pubblicazione prenda forma, abbiamo voluto approfondire con loro il rapporto tra musica e performance e la loro visione quasi da opera d’arte totale.

L’intervista ai Salò

Siamo all’interno dei Forum Studios, un luogo dove compositori e grandi maestri hanno fatto la storia della musica italiana. Perché state registrando qui?
Inizialmente siamo stati invitati a suonare in occasione della mostra Nova Libertaria, a cura di Arturo Passacantando. Un progetto di The Orange Garden, in collaborazione con Nero, prodotto da Iterum. Successivamente abbiamo scoperto che ci sarebbe stata data la possibilità di registrare della nuova musica in questo luogo mitico, per una futura pubblicazione. Abbiamo accettato immediatamente, perché tutto quello che è accaduto qui è fondamentale per il nostro percorso. Che si tratti di Morricone, dei Goblins o di altri musicisti e situazioni, questi spazi ci parlano di un passato a cui desideriamo attingere, anche solo a livello immaginifico.

Salò by Valentina Pascarella
Salò by Valentina Pascarella

Ripercorrendo la vostra breve storia. Dove e come è cominciato tutto?
L’inizio coincide con la performance realizzata in occasione della mostra di Emiliano alla NomasFoundation, qui a Roma, nel 2019. In seguito, con la pandemia imminente, abbiamo deciso di proseguire. Oggi possiamo considerarci una sorta di collettivo, non solo aperto alle collaborazioni esterne, ma anche alla variazione dei suoi componenti.

Come nasce l’idea di utilizzare dei costumi così connotanti, che attingono ad un immaginario seicentesco-settecentesco?
Come dicevamo la prima performance era legata alla mostra di Emiliano alla Nomas Foundation, e aveva come tema il costume, con un chiaro riferimento al suo carattere di differenziazione sociale all’interno della società del 1600 e 1700. La mostra presentava una serie di sculture in ceramica, e i costumi, interamente fatti a mano, ne riprendevano forme e colori. In occasione della perfomance pensata per l’opening, c’era un pianoforte rosa al centro della sala, di grande impatto, che dava già il polso dell’identità che avrebbe preso il nostro progetto in futuro.

Salò
Salò

La musica del collettivo romano Salò e il rapporto con Roma

Sul fronte musicale i riferimenti sono molti. Dalla psichedelia, al prog, al folklore. Come siete riusciti a combinarli e a trovare un punto di incontro tra voi?
Il disco è un viaggio che si compone di linguaggi differenti, che abbiamo cercato di far coesistere in un discorso unico. Ci siamo riusciti perché, pur avendo alle spalle percorsi variegati, abbiamo una sensibilità comune, visto che musicalmente abbiamo ascoltato di tutto, dalle colonne sonore, alla musica folk, all’elettronica sperimentale.

Il vostro progetto è un’occasione per addentrarsi anche nel passato romano. Che relazione c’è tra Salò e il Baronato Quattro Bellezze?
Nell’ultimo anno e mezzo ci siamo dedicati ad una nuova avventura, riaprire il Baronato Quattro Bellezze, un locale storico di Roma, dove “regnava” l’artista Dominot, esibendosi con i suoi molteplici costumi, insieme al compagno che suonava il piano. Abbiamo riscontrato varie similitudini con il nostro progetto, così abbiamo deciso di farlo rivivere e con esso una Roma che pensiamo stia scomparendo. Quando Dominot aveva il Baronato, nel triangolo di vie adiacenti, c’erano diversi locali in cui si riunivano tutti i musicisti della scena romana degli Anni Novanta. Piccoli spazi dove si suonava jazz, con le luci arancioni, sotterranei, dove c’era una Roma che bruciava. Il Baronato è rimasto chiuso per circa vent’anni ed è un luogo davvero felliniano e pasoliniano. Riferimenti che sono anche nostri.

Carlotta Petracci

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Carlotta Petracci

Carlotta Petracci

Sempre in bilico tra arte e comunicazione, fonda nel 2007 White, un'agenzia dal taglio editoriale, focalizzata sulla produzione di contenuti verbo-visivi, realizzando negli anni diversi progetti: dai magazine ai documentari. Parallelamente all'attività professionale svolge un lavoro di ricerca sull'immagine prestando…

Scopri di più