Musica e politica al Festival Transmissions di Ravenna. Intervista alla curatrice Moor Mother

Poetessa, artista visiva e docente di composizione a Los Angeles, Moor Mother si muove tra la dimensione musicale e quella dell’attivismo politico. Abbiamo parlato con lei di Colonialismo, identità e modi nuovi di fare politica 

Torna a Ravenna la sedicesima edizione di Transmissions, il festival di Associazione Culturale Bronson che ogni anno cerca di fare il punto sul meglio della ricerca internazionale in ambito sonoro. Dopo Martin Bisi, Radwan Ghazi Moumneh (Jerusalem in My Heart), Francesco Donadello, Marta Salogni e Kali Malone, la curatela dell’appuntamento di quest’anno (dal 24 al 26 ottobre al Teatro Rasi) è affidata all’artista americana Moor Mother. Il suo eclettismo e impegno politico hanno ispirato questa intervista, che è anche un’occasione per suggerire le innumerevoli possibilità della musica di intervenire nel dibattito contemporaneo.

Intervista alla curatrice del festival Transmissions di Ravenna

Colonialismo e Postcolonialismo in che modo questi due periodi storici entrano in relazione l’uno con l’altro? Quali sono le differenze e le connessioni?
Postcolonialismo e Colonialismo non sono forse la stessa cosa? Siamo mai usciti dal Colonialismo? Non sono una studiosa di scienze politiche, ma non credo ci sarà una fine.

Gli studi postcoloniali però focalizzano l’attenzione sull’impatto del colonialismo nelle nostre società, da un punto di vista sociale, economico e politico. Qual è la tua posizione? 
Per me si tratta di una continuazione. Sono una persona, non sento la necessità di creare queste categorie. Il colonialismo riguarda il contesto in cui si muovono gli esseri umani. Questo orrore non cesserà. Non capisco come in ambito accademico si sia giunti a questa suddivisione.

Pensi che la globalizzazione sia una nuova forma di colonialismo? Un nuovo modo di guardare e inquadrare gli altri paesi e culture, che non siano l’Europa o gli Stati Uniti, orientato allo sfruttamento economico? 
In questo processo non vedo niente di nuovo. Nuovo per chi? 

Passato e presente, Colonialismo e Postcolonialismo secondo Moor Mother

Sono cambiati il contesto storico e socioeconomico. In passato la schiavitù è stata la grande ferita. Ora l’orizzonte è differente.
Per me non è il passato. Il colonialismo e la schiavitù sono il presente. Non si tratta di mettere dei punti su una linea temporale. La schiavitù è parte del mondo in cui viviamo, assume semplicemente altre forme rispetto al luogo in cui viene messa in atto. Riguarda il modo in cui si cerca di ottenere un vantaggio degradando altri esseri umani, sottraendo loro la dignità e le risorse. La tecnologia e l’industrializzazione sono forse la causa di questa situazione. 

Pensi che i media stiano contribuendo a trasformare la rappresentazione delle persone di colore? Molti film oggi riflettono sull’identità black.
Ci sono dei casi che sono stati delle opportunità, in cui questa rappresentazione è stata articolata e analizzata. Penso a un film degli Anni Novanta di Spike Lee: Malcom X. Ma prima c’è stato il libro, quindi la messa in discussione parte da quello. Poi c’è stato un altro suo film: Bamboozled. Però anche quello è datato. Non si tratta di nuovi lavori. 

Mi riferivo a esempi più contemporanei nella serialità televisiva, come quello di Donald Glover. 
Atlanta? No, quel genere di prodotti non sono un riferimento per me. Ho guardato qualche episodio della prima stagione, ma non è uno show in linea con ciò a cui penso, di cui parlo o da cui possa prendere ispirazione. 

Miti e ispirazioni della poetessa, artista e docente Moor Mother 

Quali sono dunque le tue ispirazioni? 
I due film che ho menzionato di Spike Lee sono stati per me di grande ispirazione. Oppure il lavoro di poeti e scrittori, come Octavia E. Butler, Amiri Baraka, Toni Morrison, Saul Williams, Pablo Neruda, la mia partner Rasheedah Phillips. 

Quando mi sono avvicinata alla lettura di Octavia E. Butler ho trovato interessante il tipo di fantascienza che proponeva, molto differente da quella “occidentale”, dove il rapporto con la technè (intesa come tecnica, tecnologia, macchina) è centrale. Che cosa pensi degli immaginari afrofuturisti di Butler?
Quando ho letto per la prima volta Octavia E. Butler non ho immediatamente pensato si trattasse di fantascienza, bensì che proponesse delle storie straordinarie. Ho approfondito maggiormente la fantascienza quando sono arrivata a Philadelphia e ho conosciuto la mia partner Rasheedah Phillips e il suo collettivo che includeva artisti e scrittori coinvolti nel campo della speculative fiction. Anche poeti, io amo molto la poesia. 

Diversi anni fa ho intervistato Holly Herndon e Mat Dryhurst. Parlando di politica e musica, loro si sono espressi chiaramente in una direzione. Affermando che la musica possa essere politica senza il bisogno di richiamarsi alle protest song.Per esempio nel tuo ultimo album The Great Bailout, se non consideriamo le parole, attraverso quali scelte viene espresso il suo taglio molto politico?
Anche io penso sia possibile. Nel mio lavoro mi sono dedicata a lungo alla produzione e realizzazione di soundscape. Molte persone non lo sanno, ma dedicarmi al sound design è stata una parte importante della mia formazione musicale. Sempre con Rasheedah e il collettivo Black Quantum Futurism abbiamo fatto molti esperimenti sonori. Abbracciando una direzione non commerciale. 

Nel tuo ultimo album The Great Bailout il tema della schiavitù viene sviluppato in maniera molto specifica e approfondita. Perché hai scelto di dedicarlo a questo argomento in una precisa fase della tua vita?
Nel mercato musicale dobbiamo fare riferimento a delle date di uscita che definiscano la novità di ciò che viene prodotto. In realtà, la maggior parte del materiale registrato per questo album risale al 2020. Volevo raccontare una grande storia, virale, che riguardasse il mondo in cui viviamo. Tutti, infatti, hanno partecipato alla disumanizzazione delle persone di colore, l’hanno resa possibile, anche se il punto di partenza riguarda l’Inghilterra. Ma le relazioni tra i Paesi erano molteplici. 

Carlotta Petracci

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Carlotta Petracci

Carlotta Petracci

Sempre in bilico tra arte e comunicazione, fonda nel 2007 White, un'agenzia dal taglio editoriale, focalizzata sulla produzione di contenuti verbo-visivi, realizzando negli anni diversi progetti: dai magazine ai documentari. Parallelamente all'attività professionale svolge un lavoro di ricerca sull'immagine prestando…

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