Il nuovo libro sui Club Dogo raccontato dai fotografi che l’hanno fatto
Il mitico trio milanese composto da Jake La Furia, Guè e Don Joe ha segnato gli anni d’oro del rap italiano ed è oggi protagonista di un libro fotografico. Ne parliamo con gli autori
Enrico Rassu e Alessandro Simonetti hanno seguito i Club Dogo sopra e fuori dal palco. Il risultato? Un libro fotografico che mostra il lato più intimo e inedito del trio milanese (composto da Jake la Furia, Guè e Don Joe) che ha definito un’era del rap italiano. In questa intervista ci raccontano la genesi della loro collaborazione e del libro.
Intervista a Enrico Rassu e Alessandro Simonetti
Ciao Enrico, ciao Alessandro, è un vero piacere conoscervi. Da pochissimo è uscito il vostro libro fotografico sui Club Dogo, un progetto che vi ha tenuto impegnati negli ultimi mesi e che finalmente ora è disponibile ovunque. Ma per chi non vi conoscesse, chi siete?
Enrico Rassu: Ciao! Io sono nato in Sardegna nel 1996 dove ho vissuto fino ai 18 anni. Poi ho vissuto in diverse città, ma sono cresciuto artisticamente tra Milano e Londra. Sono un grande appassionato di musica e arti visive. Ho lavorato a progetti creativi con etichette discografiche, brand di fashion, eventi e istituzioni. Questo connubio mi ha portato a pensare e proporre ai Club Dogo – e il loro team – la creazione di questo libro, includendo nell’idea embrionale anche Alessandro.
Alessandro Simonetti: Io sono cresciuto tra Bassano del Grappa e Roma, nel clash sociale della capitale negli Anni Ottanta e la situazione più conservatrice di un piccolo paese del nord est. Ho cominciato a scattare foto a 16 anni nei primi Anni Novanta, lasciandomi affascinare dalle controculture che all’epoca erano delle nicchie ermetiche e circoscritte per lo più alle realtà dei centri sociali. In quel periodo ho cominciato a scattare graffiti, skate, punk e hip hop, documentando e vivendo queste realtà da dentro. Sono stato un train graffiti writer molto attivo nella cosiddetta Italian graffiti Golden Age [Anni Novanta e Duemila, ndr]. Il mondo del bombing, la parte illegale e originale legata ai graffiti, approcciata in età adolescenziale, mi ha permesso di affrontare aspetti, come la ricerca di uno stile che mi distinguesse, la costanza di promuovere il mio lavoro e nome, e una sensazione di libertà, con la quale maggior parte dei miei coetanei non si era ancora scontrata.
Da dove nasce la vostra collaborazione?
E.R.: Io e Ale ci siamo incontrati a New York anni fa, lui ci viveva da diversi anni. Il suo background e la sua estetica sul mondo urban mi hanno colpito immediatamente. Poi, quindi, poco più di un anno fa, quando si è trasferito qui a Milano gli ho proposto di collaborare ad alcuni progetti, come l’immagine del disco di Nerissima Serpe e questo libro con Rizzoli sui Dogo. Ho pensato: se nella musica rap c’è spazio per collaborazioni tra artisti, perché mai non dovrebbe esserci in fotografia?
Il nuovo libro fotografico sui Club Dogo
E poi è arrivato il libro, come nasce l’idea? E quale era la vostra mission?
E.R.: La mission sicuramente era documentare ed imprimere su carta un momento storico per la musica italiana. Avere una visione più ampia e dettagliata di un gruppo leggendario come i Club Dogo, ma anche di tutto il paesaggio e lo scenario che gli ruota attorno. Un racconto intimo che si sviluppa tra immagini dei luoghi, immagini dei fan, dei collaboratori e ritratti del gruppo.
A.S.: il mio goal personale, o forse, l’elemento motivante, è stato cimentarmi in un progetto a due mani. Essendo la fotografia di per sé uno strumento abbastanza individualista, si ha la tendenza a lavorare perlopiù soli. Questo per me è stato anche un “clash” generazionale se pensi che tra me ed Enrico c’è un gap di quasi vent’anni.
Si può affermare sia stato un lavoro di squadra?
E.R.: Assolutamente sì. Luca Ricci sul design, Katamashi sull’editing, noi sulle immagini e il racconto assieme a tutto il team di Deantartica, con Chiara Bagnardi, Shablo e Rizzoli che l’hanno reso possibile.
Come è vedere il libro realizzato, poterlo sfogliare, dopo così tanti mesi di lavoro?
E.R.: Bellissimo. Ma non vedo l’ora di vederlo a posteriori, tra 5 anni, assumerà sicuramente un nuovo significato.
A.S.: È sempre il momento più bello di un progetto editoriale quando tocchi con mano il libro. Enrico e io siamo andati alla Mondadori in Duomo la mattina stessa in cui lo hanno messo sugli scaffali e in vetrina per la prima volta. Siamo andati a sfogliarlo. Un momento abbastanza potente è stato quando durante il lancio del libro e il firmacopie, si era ammassata una fila ordinatissima di fans, un centinaio sicuramente, ognuno con almeno un libro tra le braccia.
Per la realizzazione di questo progetto avete seguito i Club Dogo durante tutte le dieci date di San Siro. E so poi che non è la prima volta che collaborate con artisti (Sfera Ebbasta, Roshelle, Gemitaiz, Madame, Guè, Ernia e altri artisti internazionali). Quanto di quello che ci mostrano i social oggi è davvero reale?
E.R.: La realtà viene restituita solo in parte. La fotografia e il video mostrano tutto quello che c’è dentro un quadrato, un frame, non permettendo di vedere cosa c’è oltre. Il mondo social fa lo stesso.
A.S.: Sono d’ accordo. Penso che i social possano essere un perfetto mezzo per proporre una percezione di realtà alterata, ma in parte lo è la fotografia stessa, un mezzo estremamente soggettivo che ritaglia solo una porzione della realtà, quella che il fotografo decide di veicolare. Se penso però alla percezione che posso avere dai social di Gué, per esempio, devo dire che è molto vicino alla realtà!
Che progetti avete per il futuro? (risposte separate)
A.S.: Diverse pubblicazioni di progetti scattati pre e a cavallo del Covid a New York. Tra tutti, un progetto legato allo street basketball con una declinazione socio-culturale.
E.R.: Portare avanti diversi progetti personali e di altri artisti. Lasciare e condividere messaggi e arte che possa arricchire noi e le persone che ci stanno attorno. Essere No Ball Games.
Emma De Gaspari
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