Un Inatteso face à face. Tra Bologna e Forlì
Uno sguardo sul teatro francese, una due-giorni fra Bologna e Forlì, tra una cartiera e due dipartimenti universitari. Tutto dedicato, anzi focalizzato su Fabrice Melquiot.
Il deposito della carta Cbrc di Bologna ospita lo spettacolo L’inatteso, all’interno del focus su Fabrice Melquiot curato da Elena Di Gioia per il progetto Face à Face. A dar voce alla drammaturgia crudele e poetica dell’autore è Anna Amadori, accompagnata dalle musiche di Guido Sodo (chitarra, voce, live electronics) e circondata dagli oggetti evocativi creati da Eva Geatti.
Melquiot conosce l’italiano, la sua parlata è puntuale, intima e ha un che di esotico, dovuto probabilmente agli anni passati a Napoli. Racconta l’origine dei suoi testi, di come nascano spesso nel corpo di attori e attrici, per poi concretizzarsi in figurine di carta, personaggi che portano su di sé l’eco lontana di maschere infantili, dei libri letti (da Roland Barthes a Italo Calvino), dei drammaturghi di riferimento (Shakespeare, Koltès, Beckett). Il tutto in un impasto linguistico complesso, che alterna momenti di altissima poesia ad altri grevi e sporcati di realtà.
Ne L’inatteso, scritto nel 2001, una vedova tesse, ubriaca di dolore, la tela dei ricordi della sua storia condivisa con il marito. Sullo sfondo c’è la Francia contemporanea, le sue guerre, le sue contraddizioni. La Cartiera in cui lo spettacolo è stato pensato e messo in scena si rivela ricca di suggestioni che dilatano il testo all’estremo: balle di carta da macero si fanno palcoscenico, praticabili, panche per il pubblico.
Sono ammassi di parole spezzate e senza logica che l’attrice pesta in moti disarticolati, su cui si adagia, da cui fa emergere oggetti dai colori che scandiscono i quadri in cui si articola lo spettacolo – blu di Prussia, rosso saturno, verde bottiglia, rosso sangue, giallo sabbia, terra di Siena. Ogni colore corrisponde a una bottiglia (flacon nella versione originale), oggetto scenico in cui sono contenute manciate di ricordi che l’attrice riversa in forma di parola.
Anna Amadori, ammaliante e straordinaria nelle vesti di Liane, sbuca da dietro una colonna di carta straccia dopo aver cantato una canzone-lamento funebre, approda sul palco soffice sotto la sua camminata dinoccolata e inizia il racconto con voce roca, stanca, appassionata e dolcissima. Sempre sull’orlo di un tonfo che potrebbe essere definitivo (sulla carta, nel dolore), la protagonista arranca tra una parola d’amore e una di rabbia, un tentativo di liberazione dalla sofferenza e il suo inevitabile fallimento, si stende, si arrampica, cerca conforto in quella carta che è come una memoria strappata.
A scandire il tempo del ricordo sono le canzoni e le composizioni malinconiche e sapienti di Guido Sodo, che spaziano dalla musica antica a quella popolare del Sud Italia, e accompagnano per assonanze e dissonanze il pianto della donna. Alla fine, l’ultimo colore che segna il cammino di Liane è il bianco, come il foglio che la vita le impone di scrivere (“Una parola per restare in piedi oggi”), come il suo vestito, le scarpe che scaglia contro il muro e il suo sorriso triste.
Il focus ha visto anche un incontro coordinato da Gerardo Guccini presso il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna, al quale hanno preso parte l’autore, Chiara Elefante, Simona Polvani e Marie Line Zucchiatti del team di traduttrici che ha curato la versione in italiano del testo. Presso la sede di Forlì dell’Università di Bologna, il team al completo ha ospitato una discussione sulle modalità (e le difficoltà) di traduzione della pièce e una mise en espace dello spettacolo. Elena Di Gioia, già ideatrice del progetto Pierre Notte nella scorsa stagione di Face à Face, utilizza al meglio il contenitore della rassegna italo-francese, creando fortunate connessioni tra le drammaturgie d’oltralpe ospiti, i luoghi e i personaggi del panorama bolognese.
A conferma dell’ottima riuscita dell’iniziativa e della sua proficua apertura è da segnalare anche una riflessione delle traduttrici, che hanno sottolineato come l’incontro con la voce e la presenza di Anna Amadori abbia favorito lo scioglimento di alcuni nodi di complessità dell’opera.
Nicoletta Lupia
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