Così lontano, così vicino. La politica di Fanny & Alexander

Il “Discorso grigio” di Fanny & Alexander. Con un Marco Cavalcoli che dà un corpo e molte voci al nuovo spettacolo ultrapolitico del gruppo ravennate. Per un ciclo di performance che si protrarrà fino al 2014.

L’idea era fare attraversare un attore, Marco Cavalcoli, da mille voci tratte dal mondo della politica contemporanea, che entrando nel suo corpo potessero esserne fatte fuoriuscire una dopo l’altra”: così Chiara Lagani racconta la genesi di Discorso Grigio, spettacolo di Fanny & Alexander, debuttato nel luglio 2012 dopo le tappe intermedie Alla Nazione (radiodramma andato in onda su Rai Radio3 nel novembre 2011) e il successivo studio Discorso alla Nazione. Come consuetudine della compagnia, questo è il primo di una serie di spettacoli fra loro collegati. In questo caso, l’imponente progetto sui Discorsi comprenderà altri cinque spettacoli-monologhi: Discorso giallo con Chiara Lagani, Discorso celeste con Lorenzo Gleijeses, Discorso rosa con Francesca Mazza, Discorso viola con Fabrizio Gifuni e, nel 2014, Discorso rosso con Sonia Bergamasco.
Quello che appare in scena è un attore in giacca e cravatta che, indossando vistose cuffie audio su un palcoscenico semi-vuoto (solo aste microfoniche), dà voce a una quantità di politici del presente e del passato: Berlusconi, Tremonti, Sacconi, Bossi, Bersani, Casini, Di Pietro e Monti, ma anche Vendola, Bertinotti, Castelli, La Russa, la Bindi e la Bonino.
Ciò che accade sotto i nostri occhi è che nelle cuffie l’attore riceve in diretta due tipi di comandi: uno riferito al testo, alle frasi che deve pronunciare (un collage di pezzi tratti da vari – e veri – discorsi politici), uno riferito ai movimenti che deve eseguire. Marco Cavalcoli ripete il testo che sente in cuffia ed esegue i gesti che gli vengono comandati. Questi precisi elementi spostano letteralmente il lavoro su un altro piano, di gran lunga più agghiacciante di qualsiasi intrattenimento televisivo, in una quasi-tragedia, “perché sfiora la catarsi, senza realizzarla davvero”, come spiega Chiara Lagani, che ne ha curato la drammaturgia.

Marco Cavalcoli in Discorso Grigio di Fanny & Alexander - photo Enrico Fedrigoli

Marco Cavalcoli in Discorso Grigio di Fanny & Alexander – photo Enrico Fedrigoli

Il lavoro muove da un “così lontano” a un “così vicino”, appunto. Il denso progetto sonoro, a cura di The Mad Stork, è un tappeto ritmico pieno di effetti cupi e inquietanti che accompagna l’entrata in scena della figura, proiettandola a distanze siderali. Altro elemento cinetico: il testo. La composizione collettanea di voci conosciute attraverso la televisione (e, forse proprio per l’origine mediata e mediatica, sentite lontanissime) è eseguita dal protagonista (che in apertura si scalda e carica come prima di un match nel palcoscenico usato come fosse un camerino) come una vera e propria performance.
Il testo è un atto linguistico, nel senso inteso da Austin. Per comprendere il rapporto fra ideologia e discorso, occorre indagare come il discorso funziona, che cosa fa, quali tattiche di comunicazione persuasiva utilizza. A proposito di fare: la penombra iniziale disvela progressivamente una danza da marionetta spezzata, frantumata, che Marco Cavalcoli così commenta: “In ‘Discorso Grigio’ la partitura fisica è prefissata, ma la meccanicità degli ordini impedisce all’attore di affidarsi alla memoria per governare completamente il movimento e assecondare le proprie esigenze biologiche momento per momento”.
Già conoscendo la maestria interpretativa di Cavalcoli (memorabile il vertiginoso doppiaggio del film Il mago di Oz in Him, spettacolo del 2007 in cui aveva il volto e la figura dell’Hitler inginocchiato di Maurizio Cattelan), quello che qui colpisce è il fatto di rendersi fisicamente mezzo di trasmissione, canale, via per altro.

Marco Cavalcoli in Discorso Grigio di Fanny & Alexander - photo Enrico Fedrigoli

Marco Cavalcoli in Discorso Grigio di Fanny & Alexander – photo Enrico Fedrigoli

Si assiste, nello svolgersi dello spettacolo, a una progressiva artificializzazione della figura. Le mani, all’inizio nude, sono poi coperte da guanti via via più ingombranti e innaturali. Il movimento si fa più scomposto. La musica incalza. Cavalcoli compie una lunghissima, estenuata rotazione su se stesso indossando una pesante, spettrale maschera realizzata da Nicola Fagnani. Lo spettacolo si chiude trasportando l’attore “così vicino” al pubblico, o meglio negando la tradizionale dicotomia uomo-attore: il protagonista si ferma, si toglie la maschera e, semplicemente, ci guarda, in un interminabile momento di densissimo silenzio.
Su questo inaspettato e potentissimo finale, si ascolti ancora Cavalcoli: “Al termine del vortice di memorie retoriche corrisponde la cessazione degli ordini in cuffia. Per un lungo momento io e il pubblico ci guardiamo negli occhi. Ma è veramente “io” a guardare finalmente? Sotto alla maschera c’è una verità che non porta alcuna maschera? Non lo so, siamo pur sempre a teatro. Davvero non lo so, anche perché ogni volta è diverso, e ciascuno spettatore la vive in modo diverso. È il punto interrogativo che regna in quel momento”.

Michele Pascarella

www.fannyalexander.org

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Michele Pascarella

Michele Pascarella

Dal 1992 si occupa di teatro contemporaneo e tecniche di narrazione sotto la guida di noti maestri ravennati. Dal 2010 è studioso di arti performative, interessandosi in particolare delle rivoluzioni del Novecento e delle contaminazioni fra le diverse pratiche artistiche.

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