La collaborazione tra l’attore Paolo Poli e l’artista Emanuele Luzzati dura dal 1967, da quel Rita da Cascia che fece scandalizzare i ben pensanti italiani. Oggi Poli utilizza ancora, talvolta rielaborate e modificate, le scenografie di Luzzati, che è scomparso nel 2007. Così ha fatto per il recente Aquiloni, liberamente tratto da Giovanni Pascoli.
La storia di questa amicizia e intesa professionale è raccontata da un bel libro, appena uscito, a cura di Marina Romiti: Paolo Poli e Lele Luzzati. Il Novecento è il secolo nostro, per i tipi di Maschietto Editore. Si tratta di una lunga e briosa intervista a una delle personalità più autentiche e intelligenti del teatro italiano, Paolo Poli. Si comincia con l’arte, quella di Luzzati, e non si sa dove si va a finire. Certo è che il volume, arricchito da numerose immagini, si legge di un fiato. Poli è travolgente. Una parte della conversazione si svolge nelle sale del Museo del Novecento di Milano, tra le opere. Poli, che negli anni Cinquanta è stato allievo di Roberto Longhi, di storia dell’arte ne sa molto, e la sua intervistatrice lo mette continuamente alla prova. Il dialogo che viene a crearsi, in cui l’ironia beffarda e tagliente dell’ultraottantenne Poli non risparmia nessuno, è fitto e stimolante.
Anche attraverso la scrittura l’attore riesce a catturarci, ci fa ridere e pensare. Tra le righe ci sono storie personali e non solo, un po’ di sano pettegolezzo e considerazioni serissime. L’attore toscano non ha peli sulla lingua: quando si ferma, nel corso della visita al museo, di fronte a Sironi afferma: “Mario Sironi: lo detesto per le sue figure umane. Di Sironi sono belle le case, le periferie. Solo che si è sputtanato facendo tutte le vittorie alate del fascismo. Ha beccato i soldi, ma si è sputtanato”, e così di seguito. Afferma che il suo professore affermava che a inventare la Metafisica non è stato De Chirico, ma Giorgio Morandi. In Morandi non ci sono narrazioni: i tavolini nella sua pittura sono sospesi, tutto è ridotto all’essenza. Paragona certe sue abitudini a quelle di Luzzati, il grande bolognese andava al massimo da Bologna a Grizzana e l’amico genovese da Genova a Quarto. Una manciata di chilometri per entrambi.
Poli, nel corso del tempo, ha chiesto spesso al suo scenografo di ispirarsi a questo o a quell’artista. Una volta gli chiese di ispirarsi a Morandi: “ma lui proliferava sempre, così invece di fare due o tre bottiglie, aveva dipinto un magazzino intero. E giù bottiglie, giù pallottolieri! Faceva le cose così, secondo il suo temperamento. Trasformava tutto in chiave ‘pupazzesca’. Era influenzato dalla faccenda del ‘fanciullino’, l’orribile Pascoli che passavano nelle scuole, che ha fatto più danni della grandine”. Poli è un ribelle, un uomo contro, educato in una famiglia libera, con una zia montessoriana e una mamma maestra aperta e intelligente. Lui stesso ha fatto per un po’ la “professoressa”, come ama ripetere, senza fare mistero della sua omosessualità. Ha insegnato francese, ha letto in classe La Maison Tellier di Guy de Maupassant e le sue studentesse si sono appassionate al tema, allora lui ha pensato bene di portarle in gita scolastica in un casino. Era il 1958, sono arrivati poco prima della chiusura.
Angela Madesani
Paolo Poli e Lele Luzzati. Il Novecento è il secolo nostro
Maschietto Editore, Firenze 2012
Pagg. 160, € 29
ISBN 9788863940473
www.maschiettoeditore.com
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati