Roberto Zappalà. Quando “il piacere di sentirsi terroni” è un virus contagioso
“Sudvirus” nasce su commissione per lo svedese Göteborg Ballet. Torna ora a Catania, a Scenario Pubblico, sede della compagnia del coreografo Roberto Zappalà, in una nuova versione che fonde danza, musica, suoni, parole in un linguaggio coreografico fatto di Sud, del suo calore, del suo sudore, della sua luce.
Profondamente siciliano. Profondamente artista. Coreografo di grande caratura internazionale, Roberto Zappalà mostra sempre una fierezza di appartenenza che egli identifica in un virus estatico e carnale, contagioso e vitale, una tossina presente nella sua terra. Catanese nella fattispecie. Quindi lavica. Con l’Etna che propaga il suo caldo influsso magmatico depositandolo nelle anime e nei corpi, e immettendovi energia. Energia positiva, e non distruttiva, che s’insinua nel caos atavico di un’isola dalla turbolenza emotiva e creativa, che egli sa tradurre magistralmente in linguaggio coreografico. Un “sudvirus” – così lo chiama, dando anche il nome alla sua ultima creazione con l’aggiunta del sottotitolo “Il piacere di sentirsi terroni” – capace di trasformare il battito interno del pensiero, dei movimenti, dei gesti, in rotte di navigazione dell’anima, in viaggi alle radici di un sud fuori dagli stereotipi e del folklore, ma inclusivo di un’identità molteplice. A questa ha lavorato da alcuni anni battezzando col titolo Re-mapping Sicily un articolato progetto teso a esplorare e ridefinire una sua idea di sicilianità, e che ha prodotto una squassante trilogia di danza tra memoria e contemporaneità. Sudvirus ne è il proseguimento e, nota interessante, è il fatto che nasce su commissione per il Göteborg Ballet, compagnia svedese di un nord molto lontano geograficamente e culturalmente dal nostro meridione. Dopo aver portato il caldo vento del sud a quella latitudine, Zappalà ha riallestito il balletto per la sua compagnia rielaborando in maniera significativa lo spettacolo che ha debuttato a Civitanova Danza e ora ripreso nella sede catanese di Scenario Pubblico. Alla sterminata distesa di lampadine sospese della prima versione sostituisce ora la scena con una moltitudine di cravatte appese che fungono da fondale, da tenda delle apparizioni, da confine attraverso il quale vengono richiamati figure mitiche.
A varcare quella soglia, per poi scomparirvi e ritornare, è il corpulento Vincenzo Pirrotta, a declamare al microfono versi alla maniera del “Cuntu”; a elargire poesie, letteratura e riflessioni; ad ammiccare col pubblico; a decantare le bellezze dell’isola parlando di granita, di sole, e di mare; a offrire piaceri: “Se qualcuno di voi spettatori vuole passare lietamente il resto della sua vita, venga da noi…”, ripete più volte. E intanto la danza scorre dietro di lui in quei corpi dalle tuniche bianche traforate come macchie del virus, con movimenti che si propagano l’uno all’altro tra apatia e improvvisa pazzia. Sciabolate di braccia verso l’alto, sospensioni di busti e gambe, allungamenti e rotolamenti a terra, carponi, rialzate, scatti e cadute, come cellule impazzite che provano a unirsi, a trovare legami.
Ansimanti inizialmente, solitari nel vagare, formano gruppi, si dissociano e riassociano, si fermano di colpo, gridano ciascuno come a rispondere a un lontano richiamo, e riprendono le corse. Zappalà ritrae una comunità umana che egli frantuma e ricostruisce con stratificazioni di passato e di presente. Contamina Vivaldi e Paganini coi graffi sonori, le voci, i rumori, i suoni percussivi della preminente musica elettronica; uno scioglilingua dialettale ripetuto come un mantra da Alfio Antico in maschera e bastone da prestigiatore – dopo aver prima invaso la scena col suo travolgente tamburo –, con le note del violino di Adriano Murania; il marranzano di Puccio Castrogiovanni con le melodie di Bach. Tutto questo dentro un tessuto performativo astratto che ha nei sette danzatori le sue maglie vive, corpi dagli intrecci vigorosi per tecnica e temperamento, per forza e dinamismo, per fluidità e potenza espressiva. Elementi che, non ci stancheremo di ripetere, fanno di questa compagnia una delle migliori nel nostra panorama di danza. Non per nulla molto richiesta all’estero e ancora poco, come invece meriterebbe, nella nostra “provinciale” Italia.
Giuseppe Distefano
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati