Luca Ronconi. Tra pornografia e sensualità metafisica
Dal romanzo di Witold Gombrowicz, un viaggio caustico e irriverente nell’abisso che separa vecchiaia e giovinezza. E che trova nella creazione impossibile dell’amore il proprio tragico compimento. Luca Ronconi torna a Milano.
Dopo il successo di Celestina, opera – a dispetto del titolo – ben più carnale di Pornografia, Luca Ronconi torna al Teatro Grassi di Milano con uno spettacolo che porta in scena non tanto la sessualità, come ci si aspetterebbe, quanto l’essenza – ribaltata, degradata – del teatro stesso: il guardare, il mostrare, che da atto individuale si fa condiviso, voyeuristico, e perciò osceno. Si tratta quindi di pornografia dello sguardo, ossessiva e tragica, che mostrando se stessa rivela il bisogno di resistere all’orrore e alla decomposizione della vecchiaia attraverso la bellezza e la giovinezza.
La prima contrapposizione evidente è appunto quella tra maturità e immaturità, tra vecchi e giovani, tuttavia senza uno scontro vero e proprio. Al contrario, si assiste a una sorta di ambigua complicità che porta Federico e Witold – gli adulti, annoiati, nostalgici, viziosi – a cercare di costruire, quasi come registi, una realtà fittizia che persuada Carlo ed Enrichetta – i giovani, inspiegabilmente indifferenti l’uno all’altra – a stare insieme, e questi ultimi a lasciarsi manipolare, accettando di compiacere i vecchi nei loro dissoluti deliri fino a scivolare nel più atroce dei giochi, l’omicidio. C’è infatti una sorta di perversa attrazione tra adulti e giovani, e mentre i primi sono simbolo di una società abbruttita che non può unirsi nell’amore e nella bellezza ma solo nel dolore, i secondi permettono inconsapevolmente alla bassezza degli adulti di “impregnarli”.
Ma con la messa a nudo della realtà ogni cosa perde di senso, si svuota di significato; e quando cadono le maschere, ci si ritrova in balia di se stessi quasi come di un mostro. Svanisce la redenzione, e ciò che si palesa allora è nuovamente violenza. Persino la devozione a Dio crolla di fronte al bisogno di essere riconosciuti dall’altro senza finzioni, fino a distruggere il concetto stesso di Dio. Se l’uomo adulto tende sempre alla pienezza, all’assoluto metafisico – cioè a Dio – e alla completezza di sé, in Pornografia si assiste alla dialettica tra valore e non-valore, come se l’intento fosse quello di immergere il supremo nell’inferiorità, nell’imperfezione irresponsabile e ingenua della giovinezza.
La noia è il motore che spinge gli adulti a vivere attraverso i giovani, sui quali s’imperniano eccitazione voyeuristica e fantasie erotiche deviate; ma è anche ciò che provoca la distruzione di Dio e della Nazione, rappresentati dai personaggi di Amelia (la devota) e di Siemian (il capo partigiano che vuole ritirarsi perché ha subito la metamorfosi del coraggio in paura). E saranno proprio i giovani, armati dai vecchi, a uccidere Siemian, ossia il patriottismo, poiché la loro irresponsabilità trasforma l’orrore in “atto fiorito”. E lì, nella violenza, nella degradazione di una “morte erotica”, forzati a compiacere gli adulti e quindi la società fino all’abisso, i giovani trovano l’unico modo per infiammarsi e dar corpo, finalmente, a quella pornografia che sin dall’inizio “si pasceva di loro”.
Anna Di Cocco
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati