Trent’anni con Pina Bausch. Parla il fotografo Francesco Carbone

Francesco Carbone per quasi trent’anni ha lavorato con Pina Bausch e con il suo mitico Wuppertal Tanztheater. Dal 2012 segue il collettivo nomade di performer Balletto Civile, diretto da Michela Lucenti. L’abbiamo intervistato.

Bausch e Lucenti: due donne molto forti. Quali differenze fra loro, nel rapporto con te?
Pina Bausch voleva da me l’impegno totale, doveva essere sicura di vedermi sempre. Sono stato felice di questa sua richiesta, le ho dato tutta la mia abnegazione dal 1982 al 2009, girando con lei tutto il mondo. Ho così scoperto il suo stile: il mio “pennello fotografico” volava, e vola ancora, con loro. Sono stato incantato delle sue creazioni: erano sempre in divenire, fino all’ultimo istante “prima della prima”. Ho pianto molto per la sua scomparsa, ancora oggi sento la sua voce lenta, morbida, quasi una musica. Era una donna molto curiosa, nel rapporto con gli artisti e con tutto il gruppo di lavoro.
Michela Lucenti è la “nomade forte” di Balletto Civile. Chiede silenziosamente a ogni collaboratore il massimo impegno e lo ottiene mettendosi in gioco in prima persona. Il taglio delle mie foto si addice al loro stile: libero e al contempo puntuale, preciso.
Le differenze fra queste due artiste sono molto marcate, nella mia esperienza: la prima è stata, ed è tuttora, la mia musa, la seconda incarna il “futuro mobile”.

Come contribuisci – da fotografo – alla creazione di uno spettacolo, e non solo alla sua documentazione?
Non sono il classico fotografo di documentazione pura, cerco di insinuarmi nelle pieghe della pelle di ogni artista. Brochure, cataloghi, manifesti, libri e mostre sono il mio apporto al lavoro di queste coreografe. Pina sceglieva personalmente, con molta cura, le foto per l’ufficio stampa e per le locandine e i manifesti dei suoi spettacoli, partendo da una mia prima selezione. Preferiva visionare le immagini su carta, già stampate, per poi poterle scegliere. Con Balletto Civile la prassi è diversa: consegno tutto il materiale digitale disponibile, lasciando a loro la scelta delle immagini da usare.

Una coreografia di Pina Bausch - credit Francesco Carbone

Julie Shanahn “Sweet Mambo” – credit Francesco Carbone

Quali difficoltà e quali sorprese nel fotografare i molti, e non i singoli, che danzano?
I molti, i pochi e i singoli mi piacciono perché riconosco il loro “divenire in movimento”: sento una grande gioia per questo. Corpi, volti, braccia, gag e “mossi flou” cambiano volto alle immagini. Pina sceglieva sempre il flou e il mosso, ero entusiasta di questa sua predilezione, che corrispondeva alla mia tecnica preferita: “dipingevo” per lei solo a colori. Nei gruppi della Lucenti c’è una massa di movimento dei corpi con la quale mi sento in profonda sintonia: con lei sperimento il puro piacere di fotografare le “cadute e alzate”, lo spostamento rapido dei corpi.

Fra i tuoi riferimenti c’è il fotodinamismo dei Bragaglia? Chi altri?
Identifico pochi maestri. Tra questi Francis Bacon e il fotografo finlandese Hannu Hautala, professionista mondiale di “natura in movimento”. Quando ho iniziato con la fotografia teatrale, il mio ispiratore è stato Piero Marsili. Ma non indulgo sul passato, sono sempre proiettato verso il futuro.

La fotografia di scena cos’ha più del video?
La fotografia, ancor più del video, deve cogliere il pathos e deve andare al cuore dell’artista che lo produce. Il fotografo di scena deve inventare un proprio stile, che gli permetta di essere riconosciuto “al volo” nel mondo. Occorre inseguire un’interpretazione molto profonda e personale dell’evento performativo.

Quale proporzione esiste fra intenzionalità e aleatorietà, nella tua esperienza scenica?
L’intenzionalità è alla base del mio mondo fotografico: non lascio nulla al caso, non posso fare errori. Ma in questi trent’anni di attività tutto è diventato più naturale, leggero, scorrevole.

Una coreografia di Pina Bausch - credit Francesco Carbone

Pina Bausch “Danzon” – credit Francesco Carbone

Il tuo lavoro ha più a che fare con l’attestazione del reale o con la fuga nell’immaginario?
Il mio mondo pittorico si è sempre adattato alla fuga nell’immaginario. Sono una persona riservata, diversamente dal “classico” fotografo italiano… Forse è proprio per questo che per tanti anni mi sono trovato in profonda sintonia con Pina Bausch.

Un fotografo di scena cosa non deve mai fare?
Un fotografo di teatro-danza non deve cercare di riprodurre la realtà. Deve scompigliare le carte, giocare con la propria cultura e con il proprio stile, mettendoli a disposizione della sconfinata galleria del mondo.

Michele Pascarella

www.francescocarbone.com

 

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Michele Pascarella

Michele Pascarella

Dal 1992 si occupa di teatro contemporaneo e tecniche di narrazione sotto la guida di noti maestri ravennati. Dal 2010 è studioso di arti performative, interessandosi in particolare delle rivoluzioni del Novecento e delle contaminazioni fra le diverse pratiche artistiche.

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